
ORISTANO. Circondati dal mare, protetti e rinchiusi da quel limite fluido e infinito, viviamo, noi isolani di confine, in una ossessione inconscia di orizzonte. Un orizzonte marino così imponente che è parte del nostro essere anche quando ce ne allontaniamo; ci condiziona, ci ispira, ci educa e ci vincola. Il paesaggio che guardiamo, quello in cui ci perdiamo, è il mare, e come ha scritto Marcello Fois «guardare il paesaggio che ci circonda non vuol dire necessariamente vederlo, […] “guardare un paesaggio” significa essere quel paesaggio».
Quella linea apparente tra cielo e mare racconta noi stessi, le nostre propensioni, le nostre ambizioni, i nostri limiti. E racconta la nostra isola, il territorio che ci ospita, la terra che ci sostiene e il confine che ci circonda.
Per questo, quando con Simone Mereu abbiamo iniziato a riflettere su una nuova mostra sul tema del paesaggio, l’orizzonte è presto diventato l’oggetto delle nostre speculazioni. Abbiamo invitato nella nostra riflessione artiste e artisti, fotografe e fotografi a cui abbiamo chiesto di raccontarci la loro idea di orizzonte in Sardegna, la loro percezione da isolani di costa o di interno, e così è nata Orizzonti. Racconti e visioni dall’isola. La mostra ha poi trovato un’eccellente ospitalità nel Museo Diocesano Arborense di Oristano che grazie alla sua direttrice l’architetta Silvia Oppo ci ha permesso di estendere il nostro ragionamento a nuovi compagni di viaggio e di partire da qui per il nostro percorso attraverso paesaggi e sentimenti sardi, percezioni, speranze e intuizioni che le opere esposte ci raccontano.
Come sempre infine il ringraziamento fondamentale va alla Fondazione di Sardegna che, ancora una volta, grazie al suo prezioso contributo ha permesso all’Associazione Auravisiva, organizzatrice e promotrice dell’iniziativa, di poter realizzare questa mostra.
A creare il percorso espositivo sono le opere di tredici artisti oggi attivi in Sardegna (Enrica Badas, Elisabetta Cabras Mannu, Mariano Chelo, Tiziana Contu, Stefano Masili, Maria Grazia Medda, Roberto Meloni, Andrea Milia, Roberta Napoli, Daniela Nobile, Mercedes Pitzalis, Tiziana Sanna, Nicoletta Zonchello), una designer (Sara Vignoli) e dodici fotografi (Francesca Ardau, Marianna Bernardini, Sandro Cabras, Ettore Cavalli, Andrea Cocco, Elisabeth Euvrard, Enrico Marras, Roberta Montali, Barbara Pau, Antonio Pintus, Monica Porcu, Alessandra Scoppetta, Alessandro Toscano), che ci restituiscono un racconto di orizzonti geografici, simbolici, metaforici, interiori e intimi. Tutti parte di una narrazione che ha la Sardegna come soggetto e la percezione di chi la vive come filtro.
Marta Cincotti e Simone Mereu Canepa
ORIZZONTI TRA PITTURA TRADIZIONALE E SPERIMENTAZIONI TECNICHE
Quando con Marta Cincotti abbiamo pensato a questa mostra, siamo partiti dal concetto di orizzonte come limite e possibilità, insito nel nostro essere “isolani di costa” che hanno negli occhi l’orizzonte marino quale panorama quotidiano, chiusura del sardo mondo percettibile ma anche foriero di alterità, nella sua dimensione di soglia da varcare verso il mondo. Basandoci proprio sull’ambiguità del rapporto con un limes tutt’altro che definito, mobile, imprevedibile e soggettivo quanto lo sguardo, abbiamo pensato di sollecitare artiste e artisti, fotografe e fotografi sul tema nella sua implicazione fisico-visuale ma anche metaforica e il risultato del loro interrogarsi è qui esposto. La scelta degli artisti è stata effettuata attraverso una call a cui in molti hanno risposto, obbligandoci ad una selezione di autori e opere non tanto basata sulla notorietà degli artefici quanto sulla qualità e diversità di linguaggi e taglio, nell’intento di offrire un caleidoscopico panorama di “Orizzonti” che divengono personali racconti e visioni dall’isola o dell’isola, a seconda dell’occhio sardo o “straniero” che guarda e ci guarda. Mentre Marta Cincotti si occupa di introdurre la sezione fotografica a me spetta l’onore di presentare gli autori della sezione pittorica e artistico- visuale.
Alcuni dipinti seguono tecniche pittoriche tradizionali quali la pittura ad olio su tela di Siccità di Tiziana Sanna che con evidente coerenza ci propone, in una insolita veste, la sua ricerca ecologica attraverso il monito della desertificazione o come nel paesaggio di Mercedes Pitzalis che in Oltre l’orizzonte si affida al valore espressivo del colore per una rappresentazione equilibrata e rassicurante della natura, dove alla pittura ad olio data per sottili velature si affianca l’inserimento prezioso e luminoso della foglia d’oro. Ancora inserti in foglia d’oro sui colori acrilici misti a sabbia su tela dati a spatola per Campi di Giorgio Corso che subisce la fascinazione dell’ambiguità dell’orizzonte, che è effimero e mutevole: linea che inesorabilmente riappare mutata non nel suo andamento ma nei colori e nelle atmosfere, per divenire mistero che nutre l’utopia della sua cattura e comprensione. Elisabetta Cabras Mannu in Altrove ci offre un paesaggio che evoca dalla memoria un orizzonte nascosto dalle montagne, formalmente risolte da pennellate di colore a olio fortemente diluito tanto da sembrare quasi acquerello, le cui tonalità rassicurano e promettono serenità. Nel suo Orizzonti Roberta Napoli preferisce mescolare acrilici e segni di pennarello nella convinzione che la purezza tecnica in sé non sia un valore ma un limite all’espressione, anche in Fibre di mare Stefano Masili 8 gioca con linee di orizzonte che diventano marine ondulate policrome in tecnica mista che quasi astraggono e confondono i rapporti del limite. Daniela Nobile in Souffle mischia con sicurezza di segno pastello e acrilico per tracciare il suo confine tra cielo e terra come instabile, non netto, più emotivo che fisico, fluido e momentaneo, mentre Mariano Chelo usa gli acrilici su masonite per spartire tra cielo opaco e lucentezza marina il campo visivo quadrato del suo Mare, quasi in un’inversione di luce e di ruoli, tra immanente e trascendente. Maria Grazia Medda da fiber-artist crea il suo Orizzonte con la stoffa e il filo di lana, convocandoci attraverso materiali naturali ad una coscienza etica ed ecologica; sempre alla stoffa ricorre Roberto Meloni nella sua sapiente sperimentazione di pittura sul velluto di seta e cotone, che impreziosisce la sua versione di orizzonte che, quasi astratto, sembra alludere più che rappresentare le infinite possibilità dell’oltre. Orientata all’uso di strumenti della contemporaneità e proiettata verso il futuro, Nikzone (Nicoletta Zonchello affida al prompt la creazione con AI di Fragili: un’immagine di paesaggio interiore, dove l’orizzonte della vita umana risulta come frammentato e distorto, difficilmente lineare, in cui gli strappi e le pieghe divengono simboli di lacerazioni, riparate con nastri adesivi e scotch, segni visibili delle nostre fragilità; l’apparente disordine racconta le soluzioni interiori che adottiamo, in un tentativo disperato di ricomporre l’equilibrio perduto, il tutto rappresenta per l’artista il riflesso della vulnerabilità disperata dell’esistenza umana. Enrica Badas si affida alla digital art su tela di cotone e acrilico per il suo poetico Luogo assoluto che associa suoi versi al concetto di orizzonte e, quasi con spirito panico, ci evoca il ricordo e l'essenza dell'essere che si mescolano e fondono nel mare, creando un legame profondo e senza tempo; Nero Assoluto (Andrea Milia) 15 incide il basalto per i suoi Fili erranti, un groviglio di fili, decentrato, un intreccio che diventa emblema della variazione degli orizzonti possibili: la continua diramazione delle vite di coloro che decidono di varcare la linea del mare di Sardegna in cerca di nuovi confini ed orizzonti, portandoci ad una riflessione sul tema delle migrazioni dei sardi che abbandonano la loro terra natale in cerca di altre e incerte opportunità. Ricorre alla tecnica mista con filo di ferro, filo di nylon, radice di corbezzolo, tela bisaccia di Samugheo e lana sarda Tiziana Contu 16 per il suo Legati alle radici, dedicato agli isolani che, nonostante spesso debbano lasciare la propria terra, rimangono sempre legati alle loro radici, ai profumi, colori e riti della loro terra natia: la gabbia di filo di ferro aperta rappresenta la libertà di andare e tornare, di spostare l’orizzonte, dei sardi che però sono richiamati dall’ancestrale natura selvaggia sarda, rappresentata dalla radice di corbezzolo, e dalla memoria culturale della Sardegna che avvolge come una tela da bisaccia e che in qualche modo li lega come la lana rossa di Nule.
Simone Mereu
FOTOGRAFARE L’INFINITO / DIVENIRE PAESAGGIO
Due uomini e una donna, seduti uno accanto all’altra su delle sediette da spiaggia, mangiano una pizza con lo sguardo rivolto davanti a loro (Fig. 1). Un mare estivo di fine giornata, increspato dal vento della sera e illuminato dagli ultimi raggi del sole, è il palco per il tramonto che sta per andare in scena dietro l’orizzonte. Una situazione non premeditata eppure familiare quella di scegliere di sedersi e assistere a quell’evento.
Di quello spettacolo, gratuito e ricorrente, quasi banale, chi vive sulla costa difficilmente se ne stanca. Quella distesa immensa che ci circonda, che fa di questa terra un’isola, è ciò che per i sardi di costa rappresenta l’essenza più vera, ciò che li nutre e li trattiene. È una certezza, una protezione, una rassicurazione, ma è anche una soglia questo nostro mare, oltre la quale c’è altro da noi, altro da qui, altro da cui nascondersi o altro cui anelare.
Scriveva Marcello Fois che i sardi da sempre hanno avuto un rapporto bipolare col mare: “da lì venivano le ricchezze, ma più spesso gli invasori. Il mare è contemporaneamente prigione ma anche corridoio verso la libertà.” E con quella possibilità di libertà di cui parla Fois a un certo punto ci si ritrova a fare i conti, scegliendo se fuggire o restare, perché se da una parte l’isola ci contiene e ci protegge, dall’altra ci limita e ci tiene lontani dal resto costringendoci a partire e cercare un orizzonte di terre più generose.
Ma dall’esterno la percezione può essere molto diversa. L’orizzonte di chi in Sardegna arriva non può che essere quella linea che divide la terra dal mare. Il mare, nostro solo confine, che ci convince della nostra unicità, staccati da chiunque altro e lontani abbastanza da percepirci diversi, fa percepire la nostra isola come esotica a un occhio esterno. Così la vedono i vacanzieri che ogni anno giungono come moderni invasori, accolti e contemporaneamente respinti da chi nel sangue avverte ancora quello dei conquistatori che nei secoli hanno provato a far loro questa terra. E così la vedevano i viaggiatori che tra Ottocento e inizio Novecento arrivavano incuriositi da quest’isola.
Quell’Arcadia, come la definiva Amelie Posse, quel paradiso terreste difficile da lasciare per la scrittrice esule, è lo stesso che i sardi spesso sono costretti ad abbandonare perché l’orizzonte che amiamo contemplare al tramonto, quello su cui i colori del sole e del mare si fondono, costituisce anche il nostro limite, il nostro recinto.
Arrivi e partenze, attraverso quel mare e quel cielo separati da quella linea apparente -l’orizzonte-che racconta una possibilità, una speranza, una illusione. E ritorni. Perché non si può stare lontani troppo a lungo, il “mal di Sardegna” ci correrebbe nelle vene. Ed ecco allora che il mare diventa il nostro “corridoio verso la libertà”e l’isola la nostra Itaca (come per Costantino Kavafis), da cui allontanarsi, lasciando indietro tutto e augurandoci “che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze per poi un giorno poter ritornare. Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze”.
La scelta di raccontare, attraverso le arti visive, la percezione che noi sardi abbiamo dell’orizzonte diventa occasione per conoscerci e per riconoscere il senso di questa terra che ci ospita e ci appartiene. Il tema della mostra, interpretato e narrato attraverso il proprio differente medium espressivo da fotografi e artisti, ci porta a scoprire un racconto emotivo, simbolico e onirico, che è intrinseco nel concetto stesso di orizzonte.
Il viaggio, attraverso le immagini fotografiche in particolare, ci racconta di un’isola che non si lascia mai definire e di un rapporto viscerale col territorio, disincantato e a volte doloroso. Come negli scatti di Enrico Marras dove l’orizzonte della vetta più elevata della Sardegna – Punta La Marmora, 1834 m- contrasta con il momento più basso della vigliaccheria umana, un bosco deturpato da un incendio. Ettore Cavalli ci restituisce una relazione di sintonia e comunione tra l’uomo e il suo paesaggio, un rapporto ancora possibile, fatto di conoscenza profonda e rispetto, dove la natura prevale. E l’immensità della natura prevale anche nello scatto di Francesca Ardau dove l’assenza dell’elemento umano (percepibile solo nella strada asfaltata) nell’immagine di una capra, che sembra osservare l’orizzonte, ci fa percepire superflui.
Dall’incontro tra la roccia e il mare, tra il vento e i silenzi della montagna, emergono storie che riflettono non solo la geografia del luogo, ma anche l’anima di chi la abita e di chi ne custodisce i ricordi.Questo è il motivo di fondo del percorso espositivo e sentimentale lungo gli orizzonti della Sardegna “dove– usando le parole di Michela Murgia – ogni spazio apparentemente conquistato nasconde un oltre che non si fa mai cogliere immediatamente, conservando la misteriosa verginità delle cose solo sfiorate”.
E di cose solo sfiorate racconta Alessandra Scoppetta con i suoi scatti onirici e delicati che ci portano in un mondo intimo di introspezione, desideri e rimpianti, dove il mare è il luogo dove si esplicita il sentimento. Quelle mani, che michelangiolescamente cercano di sfiorarsi, si stanno allontanando o si stanno per incontrare? Il nostro orizzonte è un ponte o è una separazione?
Il percorso tra le opere non ci dà risposte ma forse ci racconta di attimi di comunione emotiva, a volte inconscia, che viviamo davanti allo stesso paesaggio. Gli scatti di Marianna Bernardini mostrano ancora un orizzonte marino, libero, sereno, ma vincolato da delimitazioni che pur non costituendo chiusura ci impediscono la totale libertà. Ma la consapevolezza della sua essenza di limite non è sufficiente per allontanarci da quell’orizzonte, che diventa invece una ossessione nelle fotografie di Monica Porcu che nel suo progetto “pilliri” crea un diario di sogni liquidi e lenti respiri di aria salmastra davanti a un susseguirsi di orizzonti perlopiù marini che ci riportano a una sensazione malinconica di fine estate, di memoria di qualcosa che forse non abbiamo vissuto, di rimpianto dolce che ci convince che “si può avere nostalgia di un posto anche quando ci si sta”.
Contemplazione assorta e calma sono nelle immagini realizzate da Antonio Pintus, dove il paesaggio del quotidiano è un orizzonte di meditazione, di calma e sintonia con il territorio, perché forse -parafrasando Elio Vittorini – quando, malgrado tutto, seduti sopra un sasso, meditiamo, assonnati, e nulla da fare ci occupa, siamo nella vita.
La contemplazione dell’orizzonte diventa immersione vera e propria nelle opere di Roberta Montali,che spostano il punto di vista da fuori a dentro per una identificazione totale con il paesaggio marino. Elisabeth Euvrard, francese in terra sarda, ci propone una prospettiva sfuggente e fumosa dove le saline, paesaggio intermedio tra il mare e la città, si confondono con il cielo in un orizzonte incerto.
L’osservazione dell’orizzonte diventa analisi del territorio e indagine nel lavoro di Barbara Pau, tratto dal progetto “Oil & Salt. Racconto fotografico di una costa che produce” dove lo studio di un tratto di costa, lontano dallo stereotipo del litorale turistico della Sardegna, rivela un palinsesto e una stratificazione di segni in cui la componente antropica prevale in maniera talvolta violenta su quell’orizzonte su cui, poco distanti, siamo soliti perderci.
L’esame analitico del paesaggio e delle sue modificazioni è ancora oggetto dei due video presenti in mostra, uno in apertura e uno in chiusura. Il percorso espositivo si apre con un video tratto dal documentario “Alla fonda” ideato e scritto da Marco Cadinu e girato da Massimo Gasole durante il viaggio in barca a vela compiuto lungo le coste della Sardegna. Un punto di vista opposto rispetto all’orizzonte di cui finora si è parlato: l’orizzonte ora è quello tra l’isola e il mare, e proprio il mare diventa il punto di vista che permette un’osservazione e un’analisi più distaccata e lucida del paesaggio. In chiusura il video dal titolo “Orizzonti”, prodotto dalla Facoltà di Ingegneria e Architettura di Cagliari, mostra come il processo di modificazione e ingegnerizzazione del paesaggio, alimentato dalla conoscenza, dallo studio e dalla ricerca, abbia generato sviluppo ma abbia anche mutato di segno il destino dei luoghi.
E a quei luoghi mutati dallo sviluppo antropico, montagne scavate per trarne materiali a noi utili, le cave della Sardegna, Sara Vignoli ha cercato di restituire attraverso il design una forma e un orizzonte a quel paesaggio modificato dall’uomo, attraverso una composizione di mattonelle ispirate alle cave della Sardegna e realizzate con una tecnica ibrida manuale-digitale.
Il tema dell’orizzonte infine ci riporta anche a riflessioni su orizzonti interiori conducendoci, a volte, in un viaggio verso un altrove che, come scrive Italo Calvino, “è uno specchio in negativo. Il viaggiatore riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà.” Rimpianti, possibilità sfiorate, futuri possibili o passati lontani, preghiere e speranze. Gli orizzonti interiori negli scatti di Andrea Cocco sono racconti di un altrove e di nessun luogo, dove le parole non dette generano mondi.
Metafora pura e non-luogo sono nelle opere di Alessandro Toscano, tratte dalla serie “Dove non fui mai”. Il paesaggio diviene metafora dove il linguaggio si mostra insufficiente e inadeguato a rappresentare la realtà. E il limite, naturale o artificiale, manifesta un’esigenza di confine entro cui immaginare quello che il reale non riesce a descrivere, riportandoci a poetiche romantiche, a quella “siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”. La campagna spoglia e la terra arida descrivono una caducità e unadecadenza che non appartiene solo al paesaggio, lasciandoci confusi davanti a un senso di pace misto a vuoto di un’immagine onirica e allo stesso tempo familiare.
In questa terra fatta di confini mutevoli, percezioni instabili e silenzi profondi, quelli che davanti al mare a volte ci placano, altre ci angosciano, il tema dell’orizzonte è, più che altrove, una promessa e una domanda, un confine da raggiungere e un invito a riflettere su ciò che potrebbe. Quella linea apparente, lungo la quale il cielo sembra toccare la terra o il mare, è la stessa linea che separa il possibile e l’impossibile, il divino e il terreno, la prigione e la libertà. Un limite fisico che è un richiamo silenzioso a una metafora continua e a una eterna riflessione.
Marta Cincotti
ORIZZONTI. RACCONTI E VISIONI DALL’ISOLA AL MUSEO DIOCESANO ARBORENSE /info
Dal 18 Gennaio 2025 al 30 Marzo 2025 – Oristano: Museo; Indirizzo: Piazza Duomo 1, Orari: Mercoledì: 10:00-13:00 Da giovedì a domenica: 10:00-13:00, 17:00-20:00 Curatori: Marta Cincotti e Simone Mereu Telefono per informazioni: +39 342 588 7847 E-Mail info: info@museodiocesanoarborense.it