
CREMONA. Con il titolo “Il Cavalier Malosso. Un artista cremonese alla corte dei Farnese” è in corso una duplice mostra, curata da Antonio Iommelli, Stefano Macconi e Raffaella Poltronieri, che interessa le città di Piacenza e di Cremona, le quali hanno beneficiato tra Cinquecento e Seicento della fervida attività pittorica di un pregevole artista, attivo tra Lombardia, Emilia e territori della Serenissima (Salò), quale è stato Giovan Battista Trotti detto il Malosso, ossia discendente del casato de’ Malossis, esponente di quel tardo manierismo, le cui sperimentazioni stilistiche e cromatiche sorprendono più che mai ancor oggi studiosi e fruitori.
Nella Cappella Ducale di Palazzo Farnese è esposto dal 1 aprile al 13 luglio il trittico Salazar sorprendentemente ricomposto in tutte le sue parti. Si tratta dell’Adorazione dei pastori di proprietà della Banca di Piacenza e di tue tele laterali raffiguranti San Sebastiano e San Diego d’Alcalà (uno dei santi più popolari di Spagna) recuperate da privati sul mercato antiquario. Tale trittico fu commissionato al Malosso dal funzionario del governo spagnolo don Diego Salazar, dipinto nel 1595 e destinato alla sua cappella ospitata nella chiesa del convento cappuccino di Regona di Pizzighettone. Relativamente alla parte centrale dell’opera, L’adorazione dei pastori, “la narrazione si svolge all’aperto con una scenografia architettonica retrostante leggermente aperta verso un paesaggio di sfondo. Il gruppo di figure che affolla la scena è composto, come detto, dai pastori e dai committenti [Salazar e la moglie Francesca de Villelé] che con essi si confondono” (R. Poltronieri). La Vergine mostra il Pargolo divino a questi ultimi che appaiono in contemplazione. La scena di carattere bucolico si può accostare secondo la Poltronieri alle ambientazioni dei Bassano e la delicatezza del volto della Vergine segue movenze correggesche. L’agnello accovacciato, in primo piano, prefigura la morte di Nostro Signore. Sul lato sinistro del dipinto figura lo stemma gentilizio del Salazar che testimonia l’autenticità della committenza. Il trittico venne acquisito dalla famiglia Turina di Casalbuttano che, in seguito all’estinzione del casato, lo lasciò in eredità ai nobili piacentini Anguissola d’Altoè. Questi decisero di metterlo in vendita e la Banca di Piacenza ne divenne la legittima proprietaria, arricchendo la sua collezione pittorica di un pezzo pregevole.
Avendo acquisito una chiara fama in ambito cremonese e non solo, grazie al suo forte legame con gli ordini religiosi, tra cui quello domenicano (fu amico dell’inquisitore cremonese Pietro Visconti e membro della potente confraternita dei crocesignati con sede a Cremona nel convento di San Domenico che lo ritenne un efficace e affidabile paladino, sul versante artistico, delle istanze controriformiste) e in virtù di una consolidata bottega composta da molti allievi e collaboratori, cui si deve una produzione pittorica torrenziale, il Trotti venne chiamato nel 1604 alla corte parmense di Ranuccio I Farnese per completare il ciclo di affreschi mitologici del Palazzo del Giardino in omaggio alla moglie del duca Margherita Aldobrandini, rimasto incompiuto in seguito alla morte di Agostino Carracci. Dal 1604 al 1619 il Malosso divenne, a tutti gli effetti, pittore di corte insignito il 23 agosto del 1609 del titolo di Eques auratus aiutato nella sua poliedrica e fervida attività, tra cui quella di decoratore. illustratore e ideatore di apparati effimeri, dai suoi allievi prediletti come Ermenegildo Lodi. La permanenza del Trotti nel ducato farnesiano è testimoniata da una vasta produzione di dipinti e di affreschi disseminati in molte chiese parmensi e piacentine, non da ultimo dalla partecipazione dell’artista al cantiere per la decorazione del Teatro Farnese che vide molti pittori di diverse aree coinvolti nell’impresa.
La mostra cremonese dedicata al Cavalier Malosso è stata inaugurata il 4 aprile negli spazi del Museo Diocesano e si concluderà l’8 giugno. Essa prende corpo dalla presenza di sedici opere per la prima volta riunite: dipinti, bozzetti e disegni. Il filo conduttore è la bottega del Trotti, della cui organizzazione si è occupata la Poltronieri in un suo studio del 2019. Dal suo rilievo critico emerge l’equivalenza organizzativa tra l’atelier di Raffaello e quello malossiano “basata sull’istruzione di seguaci in grado di preparare il lavoro in maniera autonoma a partire dagli studi preliminari dell’opera fino alla esecuzione pittorica, fornendo così dei prodotti assimilabili in toto alla produzione del maestro stesso”. Del resto, nel corso dell’apprendistato che poteva durare parecchi anni, l’allievo si cimentava nella riproduzione disegnativa delle opere del maestro, assimilandone i modelli e il linguaggio pittorico e contribuendo così alla loro diffusione, una volta raggiunta una condizione operativa autonoma. Bisogna a quest’ultimo proposito sottolineare che il grado di autonomia raggiunto variò da allievo ad allievo. Se, ad esempio, Cristoforo Agosta si rese sempre più indipendente dai modelli malossiani, Ermenegildo Lodi, l’allievo prediletto del Malosso, li riprodusse invece fedelmente, dimostrando nei suoi lavori di averli profondamente assimilati. Tra i collaboratori si annoverano, tra l’altro, Stefano Lambri, Giulio Calvi detto il Coronaro e Manfredo, Giovan Battista ed Evangelista Lodi, parenti di Ermenegildo. Ma chi erano questi allievi nel periodo cremonese? Spesso erano figli di pittori, talvolta artigiani che aspiravano all’elevazione sociale, altre volte ragazzi lontani dal mondo dell’arte, mandati a bottega per apprendere il mestiere, divenendo garzoni, cui venivano affidate diverse mansioni.
Il percorso espositivo inizia con il solenne Ritratto di gentiluomo con cane (1550-1560 circa) di Bernardino Campi, il maestro del Malosso, divenuto suo parente per aver sposato una nipote ed erede della sua bottega, per approdare a due ritratti del Trotti uno dedicato a uno speziale (1585-1590) e l’altro al probabile agostiniano Teodosio Burla (1590-1595), nati nel solco della migliore ritrattistica cremonese che ha toccato con Sofonisba Anguissola uno dei massimi vertici. Con una puntata ad un Antonio Campi sacro (Sacra famiglia con santa Lucia, anni Sessanta del Cinquecento), l’attenzione del visitatore è subito catturata dalla celebre tela del Malosso intitolata La vergine in Gloria intercede per Cremona guerriera con i santi Omobono e Imerio (1590-1595) che, a differenza della maggior parte delle opere malossiane, non proviene da una committenza religiosa, bensì laica. Fu infatti commissionata dai Signori Deputati cremonesi per essere collocata nella loro camera all’interno del Palazzo del Comune. Pur non essendo né datata né firmata, la cifra stilistica non è mai stata messa in dubbio. Da notare è la struttura piramidale del quadro adottata dal Malosso in molte sue opere. L’intento del dipinto è sia celebrativo sia politico. Viene infatti rappresentata nella figura di una donna guerriera una Cremona che invoca la protezione della Vergine gloriosa contornata da nimbi e da angeli e che intende, in virtù della protezione celeste, salvaguardare il proprio territorio identificato geograficamente con la presenza del fiume Po visibile in lontananza e, in primo piano, con la personificazione dei santi patroni Omobono (paladino della carità cristiana per antonomasia; nel quadro è raffigurato nell’atto di far l’elemosina a un fanciullo) e Imerio (vescovo austero e ascetico, le cui reliquie furono traslate nel X secolo dalla cittadina umbra di Amelia nella cattedrale di Cremona per volere del presule Liutprando). Ai piedi della donna guerriera figurano due volumi che simboleggiano la cultura umanistica cremonese del tempo ben rappresentata da Marco Gerolamo Vida e Apollinare Offredi. Suggestive sono poi le quattro piccole tele Annunciazione, Visitazione, Circoncisione, Caduta di Cristo sotto la croce che il Malosso ha dipinto per la Chiesa parrocchiale di Romanengo, in cui il pittore ricorre all’uso di colori brillanti, offrendo una narrazione dei sacri eventi piegata alla devozione popolare. Ascrivibili alla bottega del Malosso si impongono l’olio su tela intitolato Circoncisione, attribuito ad Andrea Mainardi detto il Chiaveghino e una serie di bozzetti e di disegni sia del maestro (tra cui San Diego d’Alcalà restituisce la vista a un cieco (1610) e Circoncisione, disegno preparatorio quadrettato) sia degli allievi come Ermenegildo Lodi (Vocazione di sant’Andrea, penna, pennello, inchiostro e acquerello databile intorno al 1550-1560), il quale lavorò a stretto contatto con il Malosso non solo nel periodo cremonese ma anche, tra l’altro, in quello parmense. Il Trotti vanta un corpus grafico notevole testimoniato da una produzione vasta di disegni e bozzetti custoditi in numerosi gabinetti di stampe come quello degli Uffizi e del Louvre. Si sa che carta e penna (disegno) svolsero un ruolo fondamentale nella bottega del maestro, come già lo fu a suo tempo in quella di Bernardino Campi, da cui uscì lo stesso Malosso e Sofonisba Anguissola molto apprezzata dal grande Michelangelo per le sue doti disegnative. “Nella bottega del Trotti il disegno era dunque un prodotto perfettamente funzionale alla vita produttiva della bottega” (Poltronieri) che poteva essere considerata anche un’opera in sé compiuta da sottoporre alla committenza. Del resto è risaputo che i disegni di un maestro servivano da un lato a fini didattici (si pensi solo all’importanza della quadrettatura dei fogli per gli allievi), dall’altro a creare un fervido bacino di modelli spesso riutilizzati o rielaborati dal capobottega e aiuti.
Una piccola sezione della mostra cremonese è dedicata ai materiali impiegati dai pittori dell’epoca del Trotti dalle tele sino ai pennelli e ai pigmenti, offrendo uno sguardo sulle tecniche pittoriche allora in voga. Non manca poi la possibilità di assistere al “restauro aperto” di un’opera pittorica in tutte le sue delicate fasi a cura dello Studio Manara-Perni con una sezione scientifica dedicata alle analisi diagnostiche realizzate dal prof. M. A. Lazzari.
Le due mostre sono accompagnate da un catalogo curato da Antonio Iommelli, Stefano Macconi e Raffaella Poltronieri corredato da un ricco apparato iconografico e da saggi critici che collocano la torrenziale produzione artistica del Trotti e della sua bottega nel panorama artistico della fine del Cinquecento.
ERMINIO MORENGHI
Orari di visita:
a Piacenza:
martedì-mercoledì- giovedì-venerdi h. 10-13 e 15-18
sabato-domenica 10-18
festivi h. 10-18
costo del biglietto Euro 7
Presentando il biglietto della mostra di Piacenza i visitatori potranno accedere alla mostra cremonese con una tariffa agevolata di Euro 3.
a Cremona:
da martedì a domenica h. 10-13 e 14.30-18