MILANO. Sono oltre novanta le opere che compongono la mostra, allestita a Palazzo Reale fino al 9 febbraio, intitolata “Picasso lo straniero”. Titolo quanto mai significativo per soffermarsi sulla condizione vissuta dal grande artista nella Parigi sconvolta dalla Grande Guerra, quando, diciottenne e soprattutto emerito sconosciuto, viene schedato per errore come anarchico.
Quella Ville Lumière che sarà poi il teatro della sua progressiva, quanto non facile affermazione prima della definitiva consacrazione. Tant’è vero che nel 1940 chiese, e non ottenne, la naturalizzazione, temendo di essere travolto dall’invasione nazista. Tuttavia, Pablo trova rifugio a questa sua condizione di “straniero” negli amici, pittori, intellettuali e poeti che lo introducono ai segreti parigini e alle sue contraddizioni che, paradossalmente, ne costituiscono l’essenza.
Il percorso espositivo, che segue l’ordine cronologico, si snoda dal 1900 al 1973, con lavori che si soffermano su questa progressiva “conquista” della capitale francese, grazie alla conoscenza di personalità dello spessore di Guillaume Apollinaire, Max Jacob e Georges Braque, pittore con cui condividerà la felice esperienza cubista.
Gli esordi di Picasso a Parigi sono proprio questi: anni di contatto con le persone, spesso di estrazione umile, che la abitano, e che fissa in opere di potente forza visionaria, addentrandosi nei pertugi e frequentando i locali di Montmartre. In questo senso, l’opera più significativa esposta è La Mort de Casagemas, che raffigura la morte, per suicidio, fra i più cari amici dell’artista, Carlos Casagemas.
Questo evento, secondo la critica, ha contribuito all’avvio del cosiddetto Periodo Blu. «Guardato con sospetto come straniero, uomo di sinistra, artista d’avanguardia – spiega Annie Cohen-Solal – Picasso si destreggia con abilità e acume politico in un paese che poggia su due grandi istituzioni: la police des étrangers e l’Académie des beaux-arts, che tutelano ossessivamente la ‘purezza della nazione’ e il ‘buon gusto francese’- Guardato con sospetto come straniero, uomo di sinistra, artista d’avanguardia, Picasso si destreggia con abilità e acume politico in un paese che poggia su due grandi istituzioni: la police des étrangers e l’Académie des beaux-arts, che tutelano ossessivamente la ‘purezza della nazione’ e il ‘buon gusto francese’ . Nella mia ricerca appare costantemente l’immagine di un Picasso vulnerabile e precario, perché sapeva di poter essere espulso in qualsiasi momento.
Tuttavia, seppe navigare da grande stratega contro la xenofobia diffusa”.». Il percorso espositivo, che comprende non soltanto dipinti, ma anche grafiche, disegni, lettere, sculture e ceramiche, confermano lo spirito estremamente creativo dell’artista e la sua potente forza espressiva che si è positivamente proiettata in diversi campi dell’arte con la sua portata innovatrice.
Da piccoli schizzi e disegni, si passa a tele di grandi dimensioni, fra cui quelle cubiste, che consegnano alla storia un uomo che ha saputo portare una rivoluzione “copernicana” nell’arte, andando anche a denunciare gli orrori della guerra con uno dei suoi capolavori, “Guernica”, su cui si sofferma, opportunamente, l’esposizione meneghina. In essa emerge non tanto lo sconforto del maestro per essere considerato “straniero”, ma trionfa quel suo sentirsi “cittadino del mondo”, mediante un messaggio universale, quello dell’arte, che travalica ogni confine.
Ecco, allora che nelle tele in cui le figure vengono scomposte in piani, linee e forme, Picasso ci consegna un “diverso” modo di vedere la realtà e l’interiorità: un’autentica lezione assoluta.
La mostra, accompagnata da un catalogo edito da Marsilio, è visitabile da martedì a domenica dalle 10.00 alle 19,30, giovedì dalle 10.00 alle 22.30
SIMONE FAPPANNI (riproduzione del testo riservata)