PIETRO CONSAGRA: LA MATERIA POTEVA NON ESSERCI. ANTOLOGICA AL MASI

Pietro Consagra, Omaggio a Paisiello, 1955, bronzo, fusione a terra delle singole parti e saldatura, 69 x 72 x 6 cm. Collezione privata, Lugano. Foto: Maniscalco, 2021, © ProLitteris, Zurich, press kit MASI

LUGANO. Fra i maggiori esponenti dell’astrattismo internazionale, Pietro Consagra ha percorso territori, fisici e mentali, della scultura che nessuno, prima di lui, aveva toccato e approfondito. Lo dimostra l’ampia mostra alla Collezione Olgiati dal titolo davvero intrigante: “La materia poteva non esserci”.

Ecco i dettagli desunti dal comunicato stampa. La mo­stra Pie­tro Con­sa­gra. La ma­te­ria po­te­va non es­ser­ci è la pri­ma de­di­ca­ta al­l’ar­ti­sta in un’i­sti­tu­zio­ne pub­bli­ca sviz­ze­ra. Il rap­por­to dia­let­ti­co con l’al­tro, al cen­tro del­la ri­cer­ca – fin dal­la se­rie dei Col­lo­qui (dal 1952) – la fron­ta­li­tà del­la vi­sio­ne e le sue mu­te­vo­li in­ter­pre­ta­zio­ni e il tema del­la cit­tà come luo­go di pen­sie­ro e re­la­zio­ne con il vis­su­to, co­sti­tui­sco­no il ful­cro del pro­get­to espo­si­ti­vo e del la­vo­ro di Con­sa­gra pre­sen­ta­to pres­so la Col­le­zio­ne Ol­gia­ti.

La mo­stra, at­tra­ver­san­do l’o­pe­ra del­l’ar­ti­sta da­gli anni ‘50 fino ai pri­mi ’70, pone in evi­den­za come il suo con­tri­bu­to non sia sta­to di fat­to for­ma­le ma di­re­zio­na­to ver­so una par­te­ci­pa­zio­ne, an­che cri­ti­ca, alla so­cie­tà nel­la qua­le ha vis­su­to e la­vo­ra­to. Le ses­san­ta­quat­tro ope­re in mo­stra te­sti­mo­nia­no come, in ma­nie­ra ger­mi­na­le pri­ma e con­so­li­da­ta poi, Con­sa­gra ha te­nu­to sem­pre al cen­tro del­la sua ri­cer­ca una for­te at­ten­zio­ne per il va­lo­re del­l’uo­mo e del­l’ar­te al fine di co­strui­re una so­cie­tà mi­glio­re. Con­sa­gra è uno dei rari ar­ti­sti del ‘900 ad ave­re toc­ca­to tut­ti gli aspet­ti del­la crea­zio­ne ar­ti­sti­ca: ha di­pin­to, scol­pi­to, di­se­gna­to, crea­to gio­iel­li, ar­re­di e ar­chi­tet­tu­re ur­ba­ne; ha spe­ri­men­ta­to tec­ni­che dif­fe­ren­ti su nu­me­ro­si ma­te­ria­li, ha scrit­to mol­to, con raf­fi­na­ta vis po­le­mi­ca. La sin­te­si con­cet­tua­le di tale per­cor­so si può rav­vi­sa­re nel ti­to­lo di una sua ope­ra, in ce­men­to ar­ma­to, rea­liz­za­ta in Si­ci­lia alla foce di una sec­ca fiu­ma­ra La ma­te­ria po­te­va non es­ser­ci, come a ri­ba­di­re quan­to im­por­tan­te fos­se il per­cor­so che dal­l’i­dea pas­sa per il con­cet­to e fi­ni­sce nel rap­por­to dia­lo­gi­co con la co­mu­ni­tà. Tut­te le ma­te­rie sono sta­te buo­ne per lui; non ha di­stin­to nel suo es­se­re ar­ti­sta e fare arte per una di esse, non ha pre­di­let­to il rap­por­to con la ma­te­ria per fini le­ga­ti alla ri­cer­ca del­la for­ma.

Il tema del­la fron­ta­li­tà, per­si­sten­te nel­la sua ope­ra, ha esclu­so dal­la scul­tu­ra pro­ble­mi e te­ma­ti­che tra­di­zio­na­li del­la scul­tu­ra come il vo­lu­me e la mas­sa, pre­ci­pui del­l’og­get­to. In mo­stra sono pre­sen­ti al­cu­ni dei più im­por­tan­ti Col­lo­qui e una se­le­zio­ne del­le ope­re fon­da­men­ta­li de­gli anni ’50 in fer­ro, bron­zo, ac­cia­io e le­gno bru­cia­to e nu­me­ro­si fer­ri tra­spa­ren­ti.

Col­lo­qui apro­no la sta­gio­ne mai chiu­sa del gran­de tema con­cet­tua­le nel qua­le la for­ma li­be­ra e fan­ta­sti­ca crea­va la pre­sen­za, pa­ro­la chia­ve per en­tra­re nel mon­do di Con­sa­gra. Nes­sun pro­ces­so di mi­me­sis, nes­su­na per­si­sten­za del rea­le, ma una eco che va crean­do le for­me nel­le sue scul­tu­re di­ri­gen­do­ci ver­so quel­l’u­ma­ni­tà pre­sen­ta­ta nel più sem­pli­ce e com­ples­so dei suoi rap­por­ti: un dia­lo­go, un col­lo­quio… il par­la­re in­sie­me… il tut­to ab­ban­do­nan­do per sem­pre qual­sia­si in­ten­to nar­ra­ti­vo o de­scrit­ti­vo.  I Col­lo­qui abi­ta­no lo spa­zio, loro con­di­zio­ne esi­sten­zia­le e non la cor­ni­ce. Sono una for­ma eco­lo­gi­ca, una pre­sen­za in un am­bien­te.

La ri­cer­ca in­te­rio­re com­piu­ta sui le­gni bru­cia­ti, fer­ro e bron­zo, è sem­pre sta­ta ac­com­pa­gna­ta da una tec­ni­ca su­per­ba, mai una dé­fail­lan­ce ne­gli ac­co­sta­men­ti, ne­gli as­sem­blag­gi, nel­le fu­sio­ni, nel­le va­ria­zio­ni del­la ma­te­ria. Si trat­ta di una tec­ni­ca, uni­ta da un sa­pien­te uso, di un mez­zo po­ten­zial­men­te ag­gres­si­vo e in­ve­ce, se uti­liz­za­to come ha fat­to Con­sa­gra, for­te­men­te espres­si­vo e poe­ti­co come la fiam­ma os­si­dri­ca. I fer­ri tra­spa­ren­ti, poi, si pre­sen­ta­no come un’im­ma­gi­ne a due fac­ce, non ri­spet­ta­no più l’im­pian­to qua­dran­go­la­re e sono do­mi­na­ti da una li­nea cur­va che spez­zan­do­si con­ti­nua­men­te si ri­con­giun­ge. I fer­ri sono mos­si da un in­cal­zan­te, a trat­ti fre­ne­ti­co, rit­mo in­te­rio­re e da mo­vi­men­ti leg­ge­ri resi leg­gia­dri dal co­lo­re, dai toni im­ma­gi­ni­fi­ci e non na­tu­ra­li­sti­ci. Si man­tie­ne for­te il rap­por­to tra se­gno e di­se­gno, te­sti­mo­nia­to in mo­stra dal­la pre­sen­za di al­cu­ni esem­pi, com­pre­si pre­zio­si spol­ve­ri pro­ve­nien­ti dal­l’ar­chi­vio del­l’ar­ti­sta. I fer­ri tra­spa­ren­ti co­sti­tui­sco­no uno spa­zio ori­gi­na­rio, di ger­mi­na­zio­ne, dove alle for­me del­la na­tu­ra e alla loro con­tem­pla­zio­ne l’ar­te rea­gi­sce con la pro­pria ar­ti­fi­cia­li­tà.

“L’ar­te è l’al­ter­na­ti­va non il ri­fu­gio del­la na­tu­ra. L’ar­te non è più un ser­vi­zio di Po­te­re, è un modo di vi­ve­re, un obiet­ti­vo un esem­pio, un aiu­to. La na­tu­ra può solo as­sor­bir­ci, iso­lar­ci, to­glier­ci dal giro, man­te­ner­ci nel fal­li­men­to, nel­la fru­stra­zio­ne dei rap­por­ti uma­ni. Più la na­tu­ra può ap­pa­ri­re un pro­ba­bi­le asi­lo, più la cit­tà cor­re ver­so la ro­vi­na del­l’uo­mo. Se noi ci ri­fu­gia­mo nel­la na­tu­ra por­tia­mo con noi le armi di­strut­ti­ve del­la cit­tà at­tua­le e dis­se­mi­nia­mo la cor­ru­zio­ne del no­stro sen­so del bene. Non dob­bia­mo an­da­re ver­so la na­tu­ra men­tre dob­bia­mo an­da­re ver­so la cit­tà”Era pre­sen­te fin da­gli anni ’60 in Con­sa­gra la con­sa­pe­vo­lez­za di come la na­tu­ra non po­tes­se es­se­re un ali­bi, un idea­le ri­fu­gio, un luo­go da mi­tiz­za­re o de­fi­ni­re come de­si­de­ra­bi­le, se­guen­do l’o­dier­na nar­ra­ti­va sul va­lo­re dei pic­co­li bor­ghi e del co­sid­det­to coun­try­si­de nel­la sua ac­ce­zio­ne di luo­go di ri­fu­gio o di mi­ti­ca in­no­cen­za.

Fon­da­men­ta­le ri­par­ti­re dal­la cit­tà come luo­go del­l’uo­mo mag­gior­men­te vis­su­to ed este­so, al­lo­ra come oggi sem­pre di più. Ecco che ar­ri­va La cit­tà fron­ta­le, sia­mo nel 1969. In oc­ca­sio­ne del­la mo­stra a Lu­ga­no ver­rà pre­sen­ta­ta nel­la sua to­ta­li­tà, con la fon­da­men­ta­le li­nea del­l’o­riz­zon­te, po­sta dal­l’ar­ti­sta nel­la mo­stra alla Gal­le­ria del­l’A­rie­te nel 1969, a de­ter­mi­na­re la col­lo­ca­zio­ne del­l’uo­mo ri­spet­to al pae­sag­gio crea­to dal­l’ar­ti­sta\ar­chi­tet­to\ur­ba­ni­sta. Un se­gno, un ge­sto dai trat­ti uma­ni­sti­ci, per una de­fi­ni­zio­ne ur­ba­na del con­te­sto. Una con­cre­tiz­za­zio­ne di emo­zio­ni e idee che tro­va­no nel­la for­ma cit­tà il ri­fe­ri­men­to più si­gni­fi­ca­ti­vo alla com­ples­si­tà de­gli in­trec­ci che som­ma­no i modi di vi­ve­re in­di­vi­dua­li e col­let­ti­vi, alla pro­ie­zio­ne fi­si­ca dei po­te­ri po­li­ti­ci ed eco­no­mi­ci. Dopo l’e­spe­rien­za ame­ri­ca­na e l’in­con­tro con le gran­di ar­chi­tet­tu­re di Sul­li­van, Wright e al­tri cam­pio­ni del mo­der­ni­smo, Con­sa­gra con que­sto tema non di­chia­ra una ec­cen­tri­ca e au­to­ri­ta­ria pro­po­sta d’ar­ti­sta, ben­sì af­fron­ta un pro­ble­ma rea­le cre­sciu­to nel tem­po fino a di­ve­ni­re per­ma­nen­te: i mol­ti, per­lo­più fru­stran­ti e con­flit­tua­li, rap­por­ti del­l’uo­mo con lo spa­zio ur­ba­no, ol­tre a quel­li di­bat­tu­ti da sem­pre, re­la­ti­vi alla ne­ces­sa­ria e im­me­dia­ta in­ci­den­za so­cia­le. Con­sa­gra im­met­te in que­sto am­bi­to an­che un tema fon­da­men­ta­le re­la­ti­vo alla mo­da­li­tà di esi­ste­re nel­la cit­tà: il pro­gres­si­vo di­stac­co del­la no­stra iden­ti­tà dal­le nuo­ve co­stru­zio­ni che tra­sfor­ma­no e det­ta­no lo spa­zio del vis­su­to cit­ta­di­no por­tan­do le per­so­ne ad uno sta­to di ge­ne­ra­le ras­se­gna­zio­ne. La cit­tà fron­ta­le è il se­gno del­la con­si­de­ra­zio­ne in­tel­let­tua­le ma an­che del le­ga­me af­fet­ti­vo nei con­fron­ti del­lo spa­zio ur­ba­no. Nel suo li­bro La città fron­ta­le del 1969 scri­ve­va “Le cit­tà sono di­ven­ta­te ran­co­re, ma non per l’in­qui­na­men­to che è un male ri­me­dia­bi­le ma per l’in­va­sio­ne di un’ar­chi­tet­tu­ra che re­ste­rà im­pian­ta­ta, in­di­strut­ti­bi­le…”

Per la pri­ma vol­ta ver­ran­no espo­sti an­che tre len­zuo­li di­pin­ti, par­te di un nu­cleo più nu­me­ro­so pro­dot­to dal­l’ar­ti­sta tra la fine de­gli anni ’60 e i ’70. Esem­pio di la­vo­ro in­ti­mo, per­so­na­le, su ma­te­ria­le po­ve­ro e quo­ti­dia­no, tra­smet­to­no una eco di ciò che gio­va­ni ar­ti­sti sta­va­no fa­cen­do al­l’e­po­ca. Ge­sto di po­li­ti­ca do­me­sti­ca dove non man­ca mai la rap­pre­sen­ta­zio­ne del­la sua idea di scul­tu­ra.

FONTE. Testo e foto, inserti al solo scopo di presentare l’evento: press kit MASI. Immagine: Pietro Consagra, Omaggio a Paisiello, 1955, bronzo, fusione a terra delle singole parti e saldatura, 69 x 72 x 6 cm. Collezione privata, Lugano. Foto: Maniscalco, 2021, © ProLitteris, Zurich, press kit MASI