#POLIFONIA: I RITRATTI PSICOLOGICI DI KUBELKA VOM GRÖLLER DIALOGANO CON LE OPERE DI CHETRIT, FLEISCHMANN, FURUYA E THUN

POLIFONIA-POLYPHONY_Kubelka_First Year Portrait 1972-73_Plate 1 © Generali Foundation,
Courtesy of uf. stampa MACRO

ROMA. Da non perdere, al Macro, Songs of Experience, un focus monografico sull’opera di Friedl Kubelka vom Gröller. I suoi celebri ritratti psicologici “dialogano” con le opere di Chetrit, Fleischmann, Furuya e Thun.

Questo il comunicato che illustra la rassegna visitabile fino al 10 ottobre.

 in cui la ricerca della fotografa e filmmaker austriaca si riflette e arricchisce nell’accostamento con i lavori di altre artiste e artisti di formazione e provenienza differenti. Come prevede il formato espositivo di POLIFONIA, le opere di Sophie Thun, Seiichi Furuya, Talia Chetrit e Philipp Fleischmann si uniranno gradualmente, durante le prime settimane di apertura, ai ritratti della fotografa Kubelka, scandendo l’evolversi della mostra nel tempo. Questa include anche la proiezione di alcuni film in 16 mm realizzati dalla regista vom Gröller (pseudonimo con cui l’artista firma i suoi corti) dalla fine degli anni Sessanta ai Duemila, che saranno introdotti dalla stessa autrice e dalla direttrice artistica della Viennale, Eva Sangiorgi.

Che si trattasse di confrontarsi con la propria identità o con quella altrui, Friedl Kubelka si è interessata al ritratto fotografico sin dai suoi esordi negli anni Sessanta. «La fotografia è l’erede del ritratto pittorico – spiega – Scattare “a metà”, quando il viso del modello aveva un’espressione ambivalente, difficilmente era ben accetto». Lei invece ricerca con rigore analitico il momento “non ideale”, quello di una reazione inaspettata, un’emozione, il filo di un pensiero, un momento di intimità, con amici, familiari, ma anche perfetti sconosciuti. Il ritratto psicologico, eseguito con mezzi esclusivamente analogici, è per Kubelka un pretesto – spesso provocatorio – d’intimità con sé stessa e l’altro, oltre che per confrontarsi con lo scorrere del tempo. Per questo i suoi scatti non sono mai unici, ma concepiti in serie come i celebri Jahresportrait : i “ritratti annuali”, il primo iniziato nel 1972, un autoscatto al giorno, e poi ripetuti a un intervallo di cinque anni fino al 2017. Le stampe sono incollate sulla griglia delle settimane, annotando anno e data, con una posa dopo l’altra. Per Songs of Experience, Kubelka ha accettato di esporre, accanto al primo, il decimo e ultimo “ritratto annuale”, che resterà in mostra per un mese, per poi lasciare il posto a un suo predecessore del 1997-1998. Insieme a loro, un’opera della serie dei Tagesportrait, i “ritratti giornalieri”, dedicata allo scultore e amico Franz West, e due opere della serie rivolta alla documentazione dei “pensieri”, in questo caso erotici.

Tecnica analogica, presenza centrale del corpo dell’artista e serialità sono caratteristiche che ricorrono anche nella pratica di Sophie Thun. Disposte sul pavimento della sala, le sue strisce fotografiche – strumento di misurazione dell’esposizione luminosa – mettono in mostra il processo di produzione dell’immagine. Le fotografie di Thun non sono rappresentazioni oggettive della realtà, ma delle messe in scena, perfezionate poi in camera oscura, che documentano esplicitamente la propria costruzione. «È anche un gioco di dominio e sottomissione tra me e la mia macchina – commenta l’artista – E di ironia».

Le fotografie di Seiichi Furuya appartengono invece allo spazio della memoria e dell’ossessione. Gran parte del suo lavoro si concentra sulla raccolta e moltiplicazione via ristampa degli scatti con cui aveva ritratto la moglie, Christine Gößler, prima che si togliesse la vita nel 1985. Scatti in cui l’immagine di Christine è sia quella della persona amata sia il riflesso dello sguardo di Furuya, la sua autobiografia indiretta. Due sue stampe a colori si uniscono alla mostra: una coppia di ritratti, gli unici rimasti a documentare un’ultima breve gita a Venezia.

L’obiettivo di Talia Chetrit, che sia rivolto sugli altri o su sé stessa, è parte di una triangolazione d’intenzioni: tra la macchina, l’azione della fotografa e gli spettatori che osservano il lavoro finale, che si costituisce più come performance che come immagine fine a sé stessa. Nel caso di Self-portrait (Corey Tippin make -up #2) Chetrit si “veste” per la macchina fotograficacome faceva con le sue amiche adolescenti, ma questa volta da adulta, con l’aiuto di Corey Tippin, il più noto make- up artist della scena newyorkese degli anni Settanta. In Plastic, si ritrae invece con un abito in plastica trasparente, confondendo i confini tra fotografia di moda e pornografia, i limiti tra intimità e consenso.

Allievo di Friedl Kubelka vom Gröller e ora direttore della Scuola per il Cinema Indipendente da lei fondata nel 2006 a Vienna, Philipp Fleischmann ha voluto contribuire a questa mostra con quella che definisce una «nota a piè pagina». Una lettera indirizzata alla sua insegnante, una testimonianza personale della sua esperienza come studente di fotografia.

Le mostre sono promosse da ROMA Culture (culture.roma.it) sotto l’indirizzo dell’Assessorato alla Crescita culturale ed è stata prodotta in collaborazione con Phileas, Ministero austriaco di cultura Si ringrazia: sixpackfilm, Vienna

Nel rispetto delle attuali disposizioni, il museo è aperto dal martedì alla domenica (ore 11-20). L’ingresso è gratuito e su prenotazione (museomacro.it/it/prenotazione) con accessi ogni ora e limitazione della capienza, al fine di evitare assembramenti e garantire la sicurezza del pubblico.

MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma, Via Nizza 138.

CREDTS. Testo e foto: courtesy of uf stampa MACRO