MILANO. La parola tarocchi nell’immaginario collettivo moderno, evoca aspetti variamente intesi ora come tradizione d’alto valore ora come qualcosa il cui riferimento occulto genera effetti ambivalente, a tratti scostante.
L’associazione a pratiche di dubbio valore come divinazione, magia, illusionismo, tipiche della modernità non ha giovato alla nomea dei Tarot, che invece annoverano il loro saldo bagaglio valoriale in un passato dai contenuti antropologici di altissimo valore e tramandato in modo variegato e peculiare nelle diverse culture mediorientali e da ultimo in occidente.
La dinamica della sostruzione dei significati, quasi mai operata in modo limpido e lineare, si muove, nel caso dei tarocchi, verso un riferimento ad una spiritualità deviata, a cui questi oggetti sono stati solo in epoca moderna associati, mentre in origine erano accompagnati da significati rispondenti a richiami ben precisi d’altra natura che non la divinazione. Questo è un dato da tenere sempre ben presente.
Il travisamento del significato intrinseco dei Tarocchi, la loro origine, potenzialità e scopo, testimonia l’inconsapevolezza delle basi della cultura contemporanea, rispetto alle esperienze e conoscenze di cinquemila anni che sono, per tramando, venutesi a modificare, talvolta adattandosi alle congiunture storiche.
Questo aspetto comunque, si certifica nelle modalità in cui I tarocchi veicolano in ogni epoca, più o meno il medesimo contenuto di riferimento al senso dell’esistenza e all’uomo in particolare, colto nella sua dimensione anche e soprattutto psicologica.
Si tratta di conoscenze antiche esoteriche, divenute tali difronte alla conoscenza “ufficiale” proprio per questioni contingenti lo scorrere degli eventi nella storia e del conseguente cambiamento di gerarchie valoriali e di paradigmi nel contesto antropologico dal quale si guarda la questione.
I Tarocchi non sono carte da gioco, nemmeno sono uno strumento di divinazione, non servono a predire il futuro, con buona pace di cartomanti e maghi o sedicenti tali.
Anzi, nella visione dei tarocchi il futuro nemmeno viene considerato come dimensione esistenziale. Piuttosto essi descrivono il mondo in essere in tutte le sue implicazioni.
Sono un segno visibile di una realtà invisibile descritta da una lingua che non si parla piu. Sono un racconto alla maniera di un libro illustrato, con colori talvolta cangianti.
Un libro di civiltà e di cultura e arte tanto arcaica quanto attuali che proprio per evitare devianze come quella in cui i Tarocchi sono oggi inseriti, andrebbero fatti conoscere, per ciò che realmente sono, quantomeno all’interno di studi di matrice umanistica.
Il punto di partenza che qui si propone, per indagare la tradizione e avvicinarsi nel modo piu fedele possibile il significato originario dei tarocchi è quello che prende le mosse dal punto della storia del pensiero umanistico e delle arti, forse piu alto mai raggiunto dall’umanità. Quel periodo di fine medioevo e inizio rinascimento, a cavallo fra il XIV e il XV secolo in cui i saperi arrivano a gradi di correttezza di acquisizione di verità forse mai raggiunti prima, derivanti dalla ricerca filologica. Un percorso di secoli che somma conoscenze di matrice religiosa, del pensiero filosofico speculativo sulla trascendenza e nelle arti.
Si tratta di un contesto in cui gli Artisti ( e la maiuscola è di proposito) figurano non meno consapevoli di letterati, poeti, filologi, antichisti, egittologi ante littreram, con cui, nelle maggiori corti europee lavoravano, delle implicazioni religiose, di etica e morale insite nella pratica alchemica ed esoterica.
Proprio dalla fusione interdisciplinare (guardata con orrore dal mondo iper specializzato contemporaneo, incapace di un approccio mentale universale all’umana condizione) emergono le immagini, perlopiu realizzate a incisione, che afferiscono a un clima, la spia di una percezione dell’esistenza pervasa da una dimensione non tangibile ma altrettanto reale quanto la sua omologa empirica.
Accade al principio del XIV secolo che cominciano a diffondersi immagini di allegorie non più legate a una mitologia antica, non soltanto quantomeno, poi nell’arco di mezzo secolo la figurazione giunge a marcare livelli di complessità rappresentativa e argomentativa dei contenuti che poco hanno a che vedere con i prototipi, cronologicamente recenti.
Il cambiamento di registro non poteva che essere motivato dall’acquisizione di conoscenze su culture e lingue, segni in codice e potenzialità rappresentative, verita e allegorie che, sempre piu erano oggetto di esegesi.
Da Lorenzo Valla in poi, gli umanisti delle corti europee e italiane in particolare, assunsero l’esegesi basata sull’approccio multidisciplinare e linguistico in particolare, come alternativo metodo alla ricostruzione operata dal mito o da tradizione orale, nell’ambito della restituzione di una verità storica dotata di maggior fondatezza.
Da questa nuova mentalità scaturisce l’invenzione l del cosi detto “Maestro delle banderuole” l’autore olandese, che ha concepito l’allegoria rappresentata nell’incisione dell’immagine N°1 e che lega il suo nome al fatto che nei suoi lavori a incisione i personaggi reggono e agitano delle bandiere appunto, è fra questi personaggi indagatori di culture ancora sentite come lontane eppur famigliari.
Nel lavoro, realizzato a incisione, si condensa tutto il contenuto allegorico, che ha una evidente allusione e pertinenza con le tematiche legate alla vita e la morte.
Presenzia fra le altre cose, la ruota della fortuna, perché compare la figura femminile allegorica omonima, e la manovella che la muove è in questa immagine, collegata a Cristo; quel personaggio seduto e un po precario sopra la ruota.
C’è nella percezione dell’epoca, l’idea che la fortuna fosse in qualche modo connessa alla provvidenza ed è risalente a un’altra epoca di transizione, quella della tarda antichità al medioevo, in particolare alla “consolazione della filosofia” del poeta latino Boezio.
Le figure di queste immagini, pervase da un moto antiorario, sembrano mimare figurativamente l’avvicendarsi del tempo, fino al giorno in cui, come la figura a sx, ci si invia verso la dipartita.
A destra figura l’albero della vita, i cui frutti sono uomini.
Si tratta di un’immagine che scaturisce dalla più antica tradizione ebraica; vi compaiono Papi, cardinali, monarchi e personaggi a vario titolo storico identificati.
Tuttavia l’albero affonda le sue radici in una barca, condizione fortemente precaria e instabile, ondeggiante, a simboleggiare la mutevolezza del mondo e delle dinamiche valoriali che lo governano nella vicenda umana.
Alla base ci sono due animali che rappresentano il giorno e la notte nel loro avvicendarsi e mordono, consumandolo, il tronco dell’albero, facendo anche delle tacche sul tronco stesso, come a contare i giorni nel loro scorrere.
I giorni della vita sono tutti numerati.
Interessante notare che questo maestro incisore era anche uno stampatore di giochi da intrattenimento, in particolare di carte.
La notizia della diffusione di questi giochi risale al XIV secolo, prima non se ne aveva nessuna traccia. Nel 1371 un poeta iberico cita, come voce da dizionario delle rime, un riferimento alla parola “naip” a indicazione al gioco delle carte diffuso in Spagna.
Sette anni dopo, una ordinanza fiorentina ordina il divieto del gioco del “naipe” a causa di speculazioni d’azzardo e ammantata di aurea superstiziosa.
Questi giochi, seppur diffusi in Europa a quell’altezza cronologica, erano comunque già diffusi da piu di due secoli in
Persia, per trasmissione in Arabia e Siria e infine, attraverso gli egiziani, manelucchi e mozarabi, ossia arabi cristianizzati, arrivarono in Europa, Spagna e anche in Italia sicuramente.
Sembra che il maestro delle banderuole sia entrato in contatto con alcune di queste varianti di giochi, come quelle in fig. 2. In cui si riscontrano alcuni simboli originari di quei pionieristici modelli iconografici.
Il mazzo arabo-manelucco conteneva 52 carte, divisi in 4 segni con 13 carte per segno: bastoni, denari, coppe e spade, gli stessi che nelle carte italiane ancora permangono.
Ogni segno era composto da 10 carte numerate e tre figure dette “di corte” quindi regali, chiamate Malik, a seguire naib-malik, ovvero il viceré e il tani-naib, ossia il secondo viceré.
Nella versione francese i segni sono diversi, ma il senso è il medesimo.
Nel XV secolo avvenne un fatto nuovo, ossia che alle 52 carte tradizionali, vennero aggiunte altre 22 carte per un totale di 74, che poi arrivarono a 78 perché nelle carte europee comparve anche la figura della regina.
Il mazzo cosi composto oggi è chiamato “dei tarocchi” ma, inizialmente il sostantivo utilizzato era quello di “Trionfi”.
Il rimando letterario è quello verso il Petrarca e al suo omonimo poemetto, il cui frontespizio fu miniato da Simone Martini, e che ne costituisce l’antecedente allegorico.
Il poemetto infatti racconta di visioni in sogno, di allegorie di condizioni esistenziali come pudicizia, amore, morte, fama , tempo e eternità, che poi si ritroveranno puntualmente virata in significati sfumati nei tarocchi.
Nel poemetto allegorico del Petrarca, si evidenzia un percorso dell’uomo in cui, da un inizio di disperazione, poi si configura una evoluzione, un po come accade del poema dantesco oppure nel Roman de la rose: anche qui c’è una grande attenzione per un discorso di perfezionamento morale ed etico.
E’ evidente che sussiste un filo diretto fra i trionfi di Petrarca, tradotti in figura per primo dal Martini, e quelli che poi sarebbero strati chiamati Tarocchi.
Nel XVI secolo prende universale diffusione il termine tarocchi di cui, dal punto di vista etimologico non si conosce nulla di preciso.
Uno studio relativamente recente¹, attribuisce la derivazione dall’egiziano tarosh che significa “via reale” ma è ipotesi per quanto suggestiva, non certa.
Quello che invece è certo, sono le testimonianze dei mazzi milanesi, attribuiti a Bonifacio Bembo.
Il corpus non egualmente ripartito consta delle collezioni della pinacoteca Carrara di Bergamo, quelli Brera-Breambilla, Visconti- DI Modrone, e appunto Visconti-Sforza con pezzi anche nella collezione della Pierpont Morgan library di New York.
Il mazzo più numeroso è quello della collezione Visconti-Sforza realizzati per il matrimonio di F. Sforza e Bianca Maria Visconti, datate fra il 1441 e fine 1446 e sono i tarocchi originali più antichi di cui si ha conoscenza.
Le varianti francesi come i Tarocchi di Marsiglia sono piuttosto lontani dalle rappresentazioni originale, e dall’ 800 in poi tali varianti si moltiplicarono in modo indiscriminato, utilizzati solo a scopo divinatorio, quindi da fattucchieri, cartomanti, pseudo-maghi.
Il senso che le carte avevano in origine non era assolutamente quello di pratiche esoteriche, almeno fino all’ 800, che invece ha proposto l’inizio della civiltà moderna, in cui il sentire religioso tutto, degenera lasciando aperte delle falle riempite da pseudo cartomanti e lettori improvvisati di oracoli.
Il Tarocco visconteo era un dono prezioso in origine e un intrattenimento sofisticato e le carte del Bembo che oggi si conoscono, hanno una aggiunta posteriore di 5 pezzi dati all’artista noto come “maestro degli occhi spalancati”, oggi piu precisamente ad Antonio Cicognara.
I tarocchi sono tutte numerate da 1 a 21, tranne una, particolare e allegoricamente molto importante ossia il LE MATT della quale piu avanti si indagherà origine e possibilità di letture allegoriche[…]
Nel secondo dei tre articoli:
Una proposta esegetica di ricostruzione della tradizione e degli aspetti significanti dei TAROT in relazione alla gnosi cristiana, tradizione ebraica e la lettura dell’albero della vita.
LUCA NAVA