RESTAURATO L’APOLLO DEL BELVEDERE

Apollo del Belvedere foto: courtesy of stampa Musei Vaticani

CITTÀ DEL VATICANO. Una splendida notizia per gli amanti dell’arte, e non solo per loro: dopo anni di attento e complesso lavoro di ricerca e di restauro, l’Apollo del Belvedere, una delle opere più celebrate delle collezioni pontificie, torna finalmente visibile al pubblico.

Il progetto è stato presentato oggi dalla Direzione dei Musei Vaticani, alla presenza di Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani, Giandomenico Spinola, Vice Direttore artistico-scientifico, Claudia Valeri, Curatore del Reparto di Antichità Greche e Romane, Guy Devreux, Responsabile del Laboratorio di Restauro
Materiali Lapidei e Fabio Morresi, Responsabile del Gabinetto di Ricerche Scientifiche.
UNA CLAMOROSA SCOPERTA – L’Apollo del Belvedere, scoperto a Roma nel 1489, giunse in
Vaticano tra il 1508 e il 1509 per volere di papa Giulio II. All’epoca la statua doveva essere
integra, mancante solo della mano sinistra e delle dita della mano destra; tra il 1532 e il 1533
venne eseguito il noto intervento di restauro di Giovannangelo Montorsoli, il quale, come
scrive anche il Vasari, «rifece il braccio sinistro che mancava all’Apollo», sostituendo inoltre,
come dimostrato da coeve incisioni, l’avambraccio destro e integrando la sommità del tronco
di albero sul quale appoggiava il nuovo braccio.
UNA SCULTURA FRAGILE – Nel dicembre 2019 il monitoraggio, cui l’Apollo era sottoposto da
qualche anno, rivela delle importanti criticità strutturali che impongono una tempestiva messa
in sicurezza. Le gambe della statua mostravano evidenti fragilità: fratturate ormai da secoli
all’altezza delle ginocchia e delle caviglie, in più punti mancavano completamente della materia
marmorea, sostituita dalla resina poliestere in occasione di un intervento di restauro di 40 anni
fa. Gambe davvero troppo fragili per poter sorreggere l’enorme peso del braccio sinistro
proteso in avanti con il lungo drappeggio del mantello. Dopo aver esaminato diverse soluzioni,
l’attuale fragilità della scultura ha imposto la scelta di riproporre un sostegno tecnologicamente
avanzato. Un espediente, in realtà, perseguito probabilmente già nel Cinquecento e che fu
senz’altro adottato da Antonio Canova, il quale nel 1816 fece ancorare la statua alla nicchia di
fondo e al basamento tramite una grande barra in ferro. L’elemento posteriore in fibra di
carbonio, ancorato al basamento, utilizza esclusivamente fori e incassi già esistenti ed è in
grado di ridurre di circa 150 chilogrammi il peso che grava sulle fratture più delicate. Il tiraggio
effettuato dalla barra attenua inoltre lo sbilanciamento del baricentro verso il braccio sinistro
che, proteso in avanti, è anche fortemente appesantito dal mantello.

TEAMWORK – Ingegneri e specialisti nella progettazione strutturale si sono avvalsi di tecnologie
e materiali all’avanguardia con la supervisione del Laboratorio di Restauro Materiali Lapidei
(Guy Devreux, Andrea Felice e Valentina Felici) e la stretta collaborazione del Gabinetto di
Ricerche Scientifiche (Fabio Morresi e Ulderico Santamaria). L’obiettivo comune è stato
garantire una nuova solidità alla statua intervenendo su di essa con la maggiore cautela
possibile, utilizzando solo fori e incassi già esistenti. Una barra in fibra di carbonio è stata
inserita nel basamento marmoreo, all’interno dell’incavo che fino al 1980 aveva ospitato il
“ferro” ottocentesco. In alto la barra si collega a un sofisticato sistema di tiraggio che utilizza
un grande foro già presente sulla schiena.
ANTICO SPLENDORE – Successivamente è stata avviata la fase della pulitura, altrettanto delicata
e complessa, che ha ripristinato la luminosità delle superfici marmoree. Il modellato è di nuovo
morbido e vibrante e tra i riccioli riemerge la policromia violacea che tradisce la preparazione
per la doratura delle chiome.
LA SCOPERTA DI BAIA E UNA NUOVA MANO – Uno straordinario ritrovamento negli anni
Cinquanta del secolo scorso permise di recuperare tra le rovine del palazzo imperiale di Baia,
a nord di Napoli, centinaia di frammenti in gesso appartenuti a un’officina che possedeva
calchi tratti direttamente dagli originali capolavori della bronzistica greca del V e del IV secolo
a.C. Tra questi frammenti in gesso venne riconosciuta anche la mancante mano sinistra
dell’Apollo del Belvedere. È sembrato giusto cogliere l’occasione del presente restauro per
restituire al dio saettante la mano “originale” inserendo, al posto di quella del Montorsoli, un
calco del gesso di Baia: il gesto è diventato più naturale, la mano proporzionata e leggera.
“L’Apollo del Belvedere è oggi nuovamente visibile – dichiara Barbara Jatta – e pur nella sua classica e
universale bellezza appare con un nuovo aspetto. La comunità scientifica potrà giudicare la bontà di un
intervento tecnologico e filologico che comunque è del tutto reversibile”.
“L’Apollo del Belvedere -– dichiara Claudia Valeri -– traduce in scultura l’immagine sublime dell’Apollo
omerico e anche per questo ci siamo a lui accostati con timore e meraviglia. Grazie ai risultati frutto di un
continuo dialogo scientifico, torniamo ad ammirare con incanto uno dei capolavori della scultura antica”.

Fonte Testo e foto: courtesy of stampa Musei Vaticani