RUBENS A PALAZZO TE. PITTURA, TRASFORMAZIONE E LIBERTÀ

Rubens, Le Grazie

MANTOVA. È stata inaugurata il 7 ottobre 2023 nelle sale di Palazzo Te l’avvincente mostra “Rubens a Palazzo Te. Pittura, trasformazione e libertà” curata da Raffaella Morselli in collaborazione con Cecilia Paolini che chiuderà i battenti il 7 gennaio 2024.

L’evento si inserisce in un progetto più articolato che coinvolge il Palazzo ducale di Mantova e la Galleria Borghese, dove il grande artista fiammingo ha lasciato, durante il suo soggiorno italiano (1600-1608), un’impronta indelebile del suo genio creativo che ha inaugurato la feconda stagione della pittura barocca europea. L’esposizione suddivisa in dodici sezioni si concentra essenzialmente sull’incontro di Pieter Paul Rubens (Siegen,1577-Anversa,1640) con la cultura mitologica assimilata in Italia e nella fattispecie attraverso gli affreschi, le decorazioni, i dipinti  e le stampe di Giulio Romano, protagonista indiscusso del luminoso Rinascimento mantovano sia a livello architettonico sia artistico. Lasciate le lontane Fiandre, approda ancor giovane nel 1600 in Italia alla corte di Vincenzo I Gonzaga chiamato dal duca a ricoprire il ruolo di pittore ufficiale, dove ha modo di ammirare per la prima volta gli affreschi della Sala dei cavalli, di Amore e Psiche e dei Giganti usciti dalla mano di Giulio Romano nonché l’architettura dei cosiddetti “lucidi inganni”. La ricca quadreria di Palazzo ducale, tra cui figuravano “I trionfi di Cesare” del Mantegna, si presenta ai suoi occhi come un prezioso scrigno di opere, di cui copierà le più celebri come il “Ritratto di Isabella d’Este” di Tiziano, non trascurando le collezioni di oggetti d’arte (si pensi solo all’eredità lasciata dall’estense!). Negli anni mantovani Rubens dispiegherà il suo straordinario talento artistico intervallato da due soggiorni romani (1601-1602, 1606-1608), soggiorni questi ultimi ricchi di committenze nonché da visite mirate alle principali città italiane, tra cui Venezia e Firenze. Avrà così l’opportunità di arricchire la sua cultura figurativa studiando a fondo dal vivo, tra l’altro, le opere di Tiziano, Michelangelo, Raffaello, Caravaggio, Annibale Carracci e Federico Barocci. Il lungo soggiorno italiano costituirà per Rubens un vero confronto titanico con l’Antico (statuaria greco-romana) e il Moderno ben rappresentato dai grandi maestri della pittura e della scultura sunnominati, che affronterà sulla scorta di una salda preparazione culturale soprattutto nel campo delle lingue antiche, della mitologia, della filosofia (legge Democrito, Eraclito, Galileo Galilei, Tommaso Campanella e Giordano Bruno), della teologia (erano allora frequenti le dispute e i contrasti tra Cattolici e Protestanti che porteranno alla sanguinosa guerra dei Trent’anni) e della letteratura (opere della classicità, poesia coeva, trattati di architettura ecc.). La mostra mantovana offre al visitatore un corpus di cinquanta opere provenienti da diversi musei europei, di cui quindici di Rubens e il resto dei collaboratori come Jan Brueghel il Vecchio (“Le nozze di Peleo e Teti” del 1610, Theodor van Thulden, Sebastian Vrancx, David Teniers e l’allievo prediletto Jacob Jordaens. Di quest’ultimo oltre ad alcuni dipinti come “Le figlie di Cecrope trovano il bambino serpente Erittonio” (1617), “Pan e Siringa” (1620 ca.) e “Satiro suona il flauto” (1639 ca.) viene presentata per la prima volta in Italia l’intero ciclo di tele decorative del salone principale della sua casa ad Anversa eseguito da lui stesso e mutuato dalla camera di “Amore e Psiche”  di Giulio Romano e comprensivo di due suggestive pannelli, uno intitolato “Un vecchio, un pazzo, una giovane donna e un gatto” (1640-1645 ca.) e l’altro “Giovane uomo, un cane e una giovane donna” (1640-1645 ca.).

Focalizzando l’attenzione sulle opere di Rubens come ad esempio su “Achille scoperto da Ulisse tra le figlie di Licomede” (1630), “L’incoronazione dell’Abbondanza” (1622 ca.), “Caccia alla tigre, al leone e al leopardo” (1615-1617), “Ratto di Europa” (1635, opera di piccole dimensioni ma assai suggestiva), “Romolo e Remo allattati dalla lupa” (1612), “Le tre Grazie (1638 ca.), “Dejanira tentata dalla Furia” (1638) ci si accorge del dialogo serrato del grande pittore fiammingo con le favole mitologiche, i miti e gli idilli di natura rielaborati e rappresentati a suo tempo, in maniera originale, da Giulio Romano nei suoi affreschi, nelle sue tele, nelle sue incisioni e decorazioni rinascimentali. E’ lo spirito giuliesco all’insegna della piena libertà espressiva e di una continua trasformazione dei soggetti figurativi e delle tematiche trattate da intendersi anche come prosecuzione della ricerca raffaellesca interrottasi bruscamente il 6 aprile del 1520 che affascinerà al massimo grado Rubens. Prima della sua venuta a Mantova Rubens conosce Giulio Romano solo attraverso le sue stampe, ma vedendo un “Giulio a colori” ne rimane, a dir poco, folgorato: “cade letteralmente in amore per lui”. “L’immaginifica popolazione di divinità e di testi antichi inventati e citati da Giulio Romano è la palestra ideale” per un uomo colto come è Rubens  che tenacemente continuerà a ricollegarvisi anche nelle opere della maturità che lo consacreranno pittore ufficiale delle corti europee cattoliche (quella di Carlo I Stuart,  di  Filippo IV di Spagna, di Enrico IV di Francia o dell’arciduca Alberto VII governatore dei Paesi Bassi) e protestanti, nonché abile diplomatico, raffinato umanista, bibliofilo e collezionista. Le suggestioni rinascimentali ricevute negli anni mantovani e italiani continueranno  a vivere e a metamorfosarsi nel suo fervido immaginario.

“Tutta la vita del fiammingo sarà dedicata a proporre la pace e ad intessere la pace tra protestantesimo e cattolicesimo sotto l’egida dell’Impero. Per poter cucire la pace utilizza due strumenti: la narrativa della potenza romana proponendola come una possibilità dell’Europa del futuro e contemporaneamente l’utilizzo della sua pittura come pacificazione emotiva. In questa pittura-paciere, utilizza sia le immagini cristiane che le immagini del mito”.  Egli, pur conservando la passione per il dettaglio tipicamente fiamminga, diventa artista italiano e nel contempo uomo dal respiro universale che sa oltrepassare i confini religiosi, geografici e politici, inventando un linguaggio figurativo personale europeo. Ciò gli valse l’appellativo di pictor doctus. La favola mitologica diventa quindi favola moderna, al passo coi tempi, veicolando messaggi politici e teologici tesi alla riappacificazione dei conflitti del suo tempo che purtroppo sfoceranno nella terribile guerra dei Trent’anni (1630-1648);  in lui il mito si umanizza consegnandosi alle sfide di un’epoca turbolenta quale è stata quella barocca seicentesca. La sua sontuosa casa-studio di Anversa verrà visitata da sovrani, principi, alti prelati, ricchi borghesi attirati dalla luce creativa che essa emana. Al suo illustre proprietario verranno affidate prestigiose committenze come quella di rappresentare le “Storie di Maria de’ Medici” ora al Louvre, ossia un ciclo di grandi tele eseguite tra il 1622 e il 1625 e la “Glorificazione di Giacomo I Stuart”(1629-1634) a Banqueting House di Londra. Se si considera ora l’opera “Le tre Grazie” (1638 ca.), ciò che affascina è l’allegria e la spensieratezza delle tre dee figlie di Zeus che, con naturalezza, esibiscono le loro nudità secondo un ideale di bellezza muliebre vigente al tempo di Rubens, che fu già dell’età dello stesso Giulio Romano e di Tiziano. Nella donna sulla sinistra si riconosce la figura della seconda moglie dell’artista Hélène Fourment (la prima fu Isabella Brant deceduta nel 1626, di cui esistono parecchi ritratti) che più volte raffigurerà in altre opere. Le tre vergini vengono rappresentate vicino a una fonte, sopra di loro vi è una corona di fiori di chiaro gusto fiammingo e il paesaggio che fa da sfondo è decisamente bucolico, l’atmosfera che si respira è arcadica. Di forte impatto visivo è pure la statuarietà delle tre figure femminili che ricorda altresì il dipinto “Ercole nel giardino delle Esperidi” (1638), visibile nell’esposizione mantovana, che ci porta a considerare come Rubens abbia tradotto in pittura la postura delle sculture classiche e moderne. La freddezza del marmo viene fugata dalla sensualità dei corpi ritratti nella loro naturalezza anatomica, resa quest’ultima magistralmente con pennellate molto chiare. Si parla di un vero e proprio gigantismo delle figure e Giulio Romano fece scuola in tal senso. La luce conferisce infatti ai corpi delle tre Grazie una luminosità diafana ma comunque gioiosa e vitale. La tavolozza di Rubens, con il passare degli anni, si farà sempre più accesa, con una più forte carica espressiva.

Il Rubens sacro è rappresentato invece dalla riproduzione fedele della pala che raffigura i Santi Gregorio, Domitilla, Mauro, Papia, Nereo e Achilleo in adorazione del quadro della Madonna della Vallicella (un quadro nel quadro, il cui originale si trova oggigiorno al Museo di Grenoble) nella sua prima versione destinata a ornare l’abside della Chiesa Nuova a Roma, ritirata dallo stesso pittore per la scarsa illuminazione dell’edificio sacro, e proposta a Vincenzo I Gonzaga che mai l’acquistò e che, in occasione della presente mostra, ritorna dopo molti secoli nel luogo, cui era destinato, Mantova per l’appunto. Segue la pala la tela “Cristo sulla croce” (1610-1611) proveniente dal KMSKA (Museo Reale delle Belle Arti di Anversa), in cui Rubens celebra su uno sfondo scuro rotto da un raggio di luce il sacrificio trionfante di un Cristo anatomicamente umanissimo con un candido perizoma svolazzante e “San Michele espelle Lucifero e gli angeli ribelli” (1622) raffigurato in tutta la sua potenza marziale, il quale, avvolto da un drappo rosso, sconfigge armato di folgore e di scudo la schiera degli angeli ribelli e in particolar modo Lucifero che reca in mano una torcia e mostra  un serpente arrotolato a un braccio, attributi che, tradizionalmente, lo connotano. L’osservatore attento può cogliere il dinamismo dell’arcangelo che promana dalla torsione del corpo, dall’ala spiegata e dall’irruenza degli altri angeli buoni accorsi in suo aiuto. Alcuni critici hanno ritenuto il quadro come il simbolo per eccellenza della lotta tra i Cattolici e Protestanti che segnò profondamente il periodo storico in cui visse il grande pittore fiammingo, protestante di nascita, in seguito convertitosi al credo  cattolico.

Alla ritrattistica rubensiana è dedicata una piccola sezione che si concentra su due opere che mostrano due personaggi che contarono molto nella vita del pittore: il cardinale Bartolomeo Cesi e l’infanta Isabella Clara Eugenia, figlia di Filippo II di Spagna grande estimatrice di Rubens o una nobildonna di un casato mantovano. Si tratta di due tele pregevoli intitolate “Ritratto di Bartolomeo Cesi” e la “Dama delle Licnidi” (1602, anno della presenza dell’artista a Mantova) che si collocano nell’ ampio gruppo dei cosiddetti “ritratti parlanti” (si ricordi il “Ritratto dell’arciduca Alberto VII” o quello famoso di Brigida Spinola Doria), la cui introspezione psicologica e la cura del dettaglio nella resa dei volti e dei panneggi raggiungono alti vertici nel solco della migliore tradizione fiamminga. L’esposizione mantovana in corso dedica pure una sezione a una raccolta di stampe prestate dall’Istituto della Grafica di Roma (ne figurano alcune ad opera degli incisori manieristi Diana e Adamo Scultori) e ai disegni di Giulio Romano provenienti dal Louvre, alcuni ritoccati dallo stesso Rubens, un tempo appartenuti alla sua

collezione privata che costituisce una ricca fonte iconografica, cui attinse a piene mani il celebre pittore fiammingo non solo negli anni italiani, ma anche in quelli della piena maturità.  Come scrive Stefano Baia Curoni, direttore della Fondazione Palazzo Te, “lo sguardo di Rubens su Palazzo Te è alla base di una mostra bellissima, risultato di un percorso scientifico e istituzionale complesso e ambizioso. È il racconto del riverbero avuto nel tempo, fino al Seicento e oltre, dalla pittura di Giulio Romano e di Palazzo Te; è una storia che connette Giulio Romano a Rubens nella loro capacità di trasformare creativamente la tradizione; è l’evidenza di quanto la “pratica della libertà” propria della pittura sia una cifra preziosa della cultura europea anche contemporanea”.

I dipinti olimpici di Rubens celebrano le gesta di un ‘Umano eroico’ (si vedano le figure di Ercole e di Achille più volte reiterate) che, tra ironia e serietà (“Democrito ed Eraclito”, 1603), tra libertà e metamorfosi, sfida stoicamente le temperie del suo tempo al di là di ogni confine politico, culturale e religioso. Rubens ci consegna quindi una pittura agli albori del barocco, tematicamente archetipica, con una grande valenza tollerante e riappacificante, il cui messaggio è più che mai attuale per l’intera comunità europea e mondiale.

ERMINIO MORENGHI

Orari

lunedì:9.00-18.30
martedì:chiuso
mercoledì-domenica: 9.00-18.30

Costo del biglietto: Intero € 15 – Ridotto € 11 – Ridotto speciale € 7. Gratuito bambini fino agli 11 anni, giornalisti; possessori tessera ICOM, possessori di Abbonamento Musei Regione Lombardia; forze dell’ordine; giornalisti; insegnanti accompagnatori di gruppi e guide abilitate  

Catalogo

Rubens a Palazzo TePittura, transformazione e libertà

a cura di Raffaella Morselli, edito da Marsilio Arte.