“SCHERZA COI FANTI E LASCIA STARE I SANTI”. GIOCHI PROIBITI E LECITI NELLA SICILIA MEDIEVALE

La copertina del libro

MILANO. Se la storia per certi aspetti, come gli elenchi di aride date o nomi, può risultare pedante e noiosa, altresi vero è che gli aspetti anedottici e il tentativo di fare luce su abitudini o usi che si sono persi nelle nebbie del tempo, è approccio che può ravvivare l’interesse su alcuni argomenti.

Sulla scorta di queste dinamiche, può essere utile portare all’attenzione la proposta del volume a firma di Patrizia Sardina dal titolo :”SCHERZA COI FANTI E LASCIA STARE I SANTI” edito da Vita e Pensiero.

Il volume ripercorre in modo organico la storia dei giochi e degli spettacoli in Sicilia dall’età normanna, dunque un periodo ricco di contaminazioni provenienti da oriente innestate su una cultura nordica latinizzata, per sfumare nelle novità culturali e dai caratteri romanzi alla fine del Quattrocento.

Sottende a tutto ciò un intento di dare luce e dar conto di quale fosse la concezione del tempo libero, propria dell’età medievale, attraverso fonti documentarie, edite e molte fin ora inedite, cronache, fonti d’archivio e iconografiche, archeologiche.

Particolare e ampio spazio è riservato alla disamina delle attività ludiche, con carico morale e ruolo defilato ma importante di bilancio d’equilibrio sociale di pretiche proibite, censurate o in qualche modo controllate: fra queste vi sono ad esempio, in primo luogo il gioco d’azzardo e stranamente anche il ballo.

Il primo non in quanto tale, ma perché nella foga è tensione del gioco, potevano sfuggire delle imprecazioni, litigi, poiché non sempre chi perdeva era disposto ad accettare di buon grado la sconfitta.

Per Il ballo il discorso è simile: si tratta di una attività condannata non in quanto tale ( è in particolare praticato dalle donne) ma per gli indotti.

La seduttivita’del movimento del corpo femminile che segue una musica, si accompagna e lega a intenti di natura sessuale più o meno espliciti, ma comunque presenti a modo di servizio da prostituzione.

Non si pensi che fosse credenza o cosa “da medioevo”: le non molto lontane ” cene eleganti di Arcore” con” ballerine” annesse, di questa visione medievale, ne sono la traduzione moderna.

Tuttavia alcuni statuti regolamentavano la regolarità o meno di certe pratiche: se nel caso sopracitato il ballo era condannato, durante la vendemmia era invece incentivato.

È necessario entrare nella visione del mondo dell’epoca per cogliere le sottili sfumature che fanno la differenza.

Attività o pratiche che furono sottoposte alle critiche di pensatori cristiani, filosofi e predicatori.

Ma non rimasero escluse dal processo di censura o revisione delle opere attenzionate anche i capitoli delle confraternite e nei confessionali, disciplinate oltre che dal canone anche dalle costituzioni regie e dai bandi comunali.

Nel testo si rintracciano, poi, in modo frammentario ma ben documentato da un’operazione interpolazione delle fonti e delle testimonianze ritrovare sulla diffusione del gioco degli scacchi nei diversi strati della società.

Incoronazioni regie e cerimonie funebri, tornei e palii cittadini sono un campionario di usanze che mostrano le tante sfaccettature del potere regio Secolare e viceversa quello clericale.

La spettacolarizzazione degli eventi gioiosi e tragici fungeva da compensazione emotiva alle difficoltà dell’esistenza in secoli duri, e tali usanze e credenze servivano per rinsaldare il legame tra i diversi ceti sociali, disposti in spazi ben delimitati secondo una precisa organizzaziine valoriale.

Tutto questo nel volume funziona da scenografia. Inoltre, è riservata speciale attenzione al ruolo della musica nella corte regia: la musica e i musicisti erano nel medioevo, assunti a ina categoria oltremodo apprezzata.

Musicisti da generazioni si preoccupavano non soltanto di allietare momenti quotidiani ma soprattutto salienti della vita di corte.

Il musicista era garantito da una pensione il cui ammontare era circa la metà dello stipendio percepito e, caso unico riscontrato fin ora, godeva anche dell’assicurazione malattia.

Egli enfatti percepiva lo stipendio anche in caso si fosse ammalato. La presenza dei musici non era e non sarebbe mai stato un fatto secondario in un mondo dal sistema di valori universalmente condivisi ed “eterni”.

Questo, per confronto con l’impostazione della scala di valori contemporanea, spiega in parte anche un altro aspetto, ossia come oggi si faccia difficoltà acomprendere tale impostazione della scala dei valori: se oggi si prevale un relativismo generale che ha provocato la caduta di valori e il riconoscimento degli stessi, in modo collettivo, si comprende come si possa guardare con stranezza quel mondo ormai ( apparentemente) lontano e con facile accettazione i non- sensi contemporanei.

L’ impegno encomiabile dell’autrice di documentarne il peso, non beneficia purtroppo della possibilita di ravvivare tale genere musicale se non per approssimazione. Lo stesso dicasi per la presenza di suonatori indipendenti che, in occasione di matrimoni e feste, allestivano concerti in città grandi e piccole. Ricostruire questo aspetto comporta anche vagliare come in di quei secoli, fosse fondamentale l’arte dei dipinti come fonte iconografica fondamentale per ricostruire la storia degli strumenti musicali.

Si analizzano anche le attività ludiche di particolari gruppi etnici fra il cosmopolitismo diffuso nel medioevo occidentale partendo degli ebrei, le cui attività erano sottoposte alla gabella della “iocularia”, pagata in occasione delle nozze e delle nascite. Nella considerazione relativa alla storia della musica, si annovera la presenza di comunità consistenti e particolarmente attive sotto il profilo economico, gli artigiani ebrei si distinguevano in particolare nel campo della fabbricazione di strumenti musicali.

Spettacoli e giochi potevano diventare luogo d’incontro tra cristiani ed ebrei e altre confessioni che convivevano fianco a fianco nelle città siciliane, o palesarne la distanza: indubbiamente questo ebbe conseguenze sulla trasmissione del sapere e della formazione delle generazioni successive.

Altri particolare che emerge dagli archivi è quello che evidenzia come, per fabbricare concretamente gli strumenti del gioco, quindi birilli, vesti, maschere, scacchiere, carte e quant’altro, non vi erano addetti specifici: nel medioevo si faceva di tutto un po.

Nel testo è citato l’esempio, estendibile come tipologia a livello generale, di come un giovane assunto da un notaio per fare tirocinio, si occupava, fra le sue mansioni, anche di fabbricare anche le carte da gioco, poi vendute dal notaio stesso.

La copertina del libro è già predittiva del contenuto dello stesso: Tristan e Isotta che giocano a scacchi: lei sta vincendo perché è in scacco matto.

Spesso lui la lascia vincere come segno galante.

Da questo emerge come il gioco sia non soltanto gioco ma seduzione e corteggiamento: un altro degli aspetti sottotraccia che occorre attenzione per cogliere.

Complessivamente una lettura che consente in modo agile di entrare nell’ambito di aspetti marginali all’apparenza, ma importanti nel loro insieme della vita e della percezione valoriale dei secoli medievali, non soltanto in Sicilia, perché le fonti sono davvero estese come si evince dalla corposa bibliografia.

LUCA NAVA