TERRE: 22 OPERE DELLA COLLEZIONE OLGIATI INDAGANO LA MATERIA

Un’opera di Prampolini in mostra (Fonte: Area stampa MASI)

LUGANO. La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati (Riva Caccia 1) riapre la stagione espositiva con un allestimento tematico dal titolo Terre dalla Collezione Olgiati.

Questo il comunicato che illustra la rassegna visitabile fino al 6 giugno.

L’esposizione propone una selezione di ventidue opere di pittura e scultura che spaziano dagli anni Venti al presente, raccolte intorno al titolo “Terre’ e accomunate da una dimensione ‘materica’. I quattordici artisti presenti in mostra — di epoche diverse e di varia origine geografica — indagano con straordinaria varietà di esiti le qualità espressive della materia: dalla pittura dominata dai colori della terra di Zoran Music, alle ricerche informali di ambito italiano ed europeo, fino ai materiali “cosmici” di Enrico Prampolini, Eliseo Mattiacci e Anselm Kiefer. La mostra presenta un importante nucleo di opere di cui molte mai esposte in precedenza, offrendo uno sguardo inedito sulla Collezione Giancarlo e Danna Olgiati nel suo complesso, in termini di scelte artistiche e di visione d’insieme.

Il progetto espositivo prende le mosse da un significativo gruppo di cinque dipinTi del pittore e artista grafico di origini slovene Zoran Music (Gorizia, 909 — Venezia, 2005): Paesaggio senese (1953), Snc/os primitiì (E3) (1960), Motif végétal (197’2), Terre d’istria (1957) e terre dalma te (1959). Sono opere che testimoniano la stagione creativa che segue il trasferimento deII’artista a Parigi nel 953, quando la sua produzione pittorica si avvicina al linguaggio deII’informaIe francese. Attraverso una pittura di motivi organici dalle tonalità aride che spesso sconfina oltre il figurativo, Music racconta un universo intimo e personale, in cui riaffiora il ricordo delle terre dell’infanzia e del vissuto deII’artista.

Nella stessa sala dialogano importanti opere di tre maestri del Novecento italiano, Alberto Burri (Città di Castello, 9 15 — Nizza, 1995), Leoncillo (Leoncillo Leonardi, Spoleto, 1915 — Roma, 1968) ed Emilio Vedova {Venezia, 19 9 — 2006). Protagonisti della stagione informale, ci introducono ad una poetica fondata sul valore intrinseco della materia ridotta al suo stato primordiale. Interrogandosi sulla possibilità di rappresentare un mondo devastato a seguito della distruzione operata dai conflitti mondiali, ouesti autori danno vita a una ricerca che si libera dal controllo ideale e razionale dell’immagine in favore deII’espressività degli elementi (sacchi di juta, ferro, legno o plastica) e la terra nella sua sostanza friabile e grumosa.

Di Burri abbiamo un Bianco Nero del 1972, la cui superficie frammentata che richiama le fessurazioni delle terre argillose restituisce la “sofferenza” della materia esposta al processo di essiccamento; una composizione che prefigura tutta la drammaticità del Grande Crello (1984-89)

realizzato daII’artista a Gibellina, sulle macerie della città rasa al suolo dal terremoto che, nel 1968, colpì la Valle del Belice, in Sicilia. La scultura Senza titolo (1960) rivela l’originale processo creativo con cui Leonc illo utilizza il gres (materiale ceramico a oasta dura), lasciando trasparire la profonda identif icazione dell’autore con la materia stessa (‘creta carne mia’, affermava l’artista), mentre nella scultura Per uno spazio – 29 (1987-88) di Emilio Vedova è la ¢arica gestuale della pittura ad imporsi, andando ad inglobare a sé un altro materiale (il legno), fino a connotarlo di una qualità plastico-spaziale.

L’incontro con l’arte informale prosegue nella sezione successiva con le opere pittoriche di due dei suoi maggiori inter preti in ambito europeo: Marrò (1958) di Antoni Tàpies (Barcellona 19’23 — 201 ‘2) e Masque de terre (1960) di Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 — Parigi, 1985). Entrambi esplorano l’uso di materie povere, come i detriti o la terra, mescolati alla pittura a olio, nella completa assenza di figurazione che non Iascia spazio ad altro che al potere suggestivo della materia grezza. Se Dubuffet pone I’accento sull’aspetto primordiale e istintivo dell’interazione con la mater ia, Tàpies realizza un’opera che appare come un vero e proprio ‘muro’ di terra solcato da segni e incisioni, solida presenza che ci invita ad andare oltre la materia stessa.

La mostra prosegue, al di là di ogni distinzione cronologica, con un omaggio allo scultore italiano Arturo Martini (Treviso, 1889 — Milano,   947). La scultura di piccolo formato in terra refrattaria Violoncellista (1931 ca.) si colloca nella lase oiù alta della sua creazione, che egli stesso ha def inito il ‘periodo del canto”, quando riceve il primo premio per la scultura alla Prima Quadr iennale di Roma (193 ) ed è invitato con una sala personale alla Biennale di Venezia (1932).

A parete e in dialogo con la scultura di Martini, l’opera in gesso dipinto Oeux oiseaux(1926) di Max Ernst (Brùhl, Germania, 1891 — Par igi, 1976), eseguita a due anni di distanza dalla fondazione del movimento surrealista a Parigi. Con singolare inventività tecnica, Ernst elabora una raffinata composizione dove si possono distinguere vaghe Jorme di uccello emergenti da tessiture materiche e cromatiche eterogenee. Pur realizzata a quasi un secolo di distanza, la scultura Belle du vent (2003) di Rebecca Horn (Michelstadt, 1944), costituita da una coppia di elementi in pietra vulcanica azionati da un motore, sugger isce un’atmosfera altrettanto onirica e surreale. Attraverso un linguaggio simbolico, l’artista tedesca combina dispositivi meccanici e materiali organici per indagare temi quali la natura nel suo andamento ciclico, Io scor rere del tempo, l’esistenza umana. Tra gli artisti della contemporaneità, inoltre, il tedesco Markus Lùpertz (Reichenberg, 941) e il colombiano Gabriel Sierra (San Juan Nepomu¢eno, 1975) — presenti in mostra rispettivamente con il dipinto Ulysses Il (2011) e l’opera a parete Untitled (2014) — rivelano due distinte modalità di relazionarsi con il concetto di materia: il primo evocandolo all’interno di una dimensione prettamente pittor ica, mentre il secondo assemblando oggetti tridimensionali dalla forte connotazione architettonica che vanno a sowertire le coordinate spazio-temporali contingenti.

Il percorso si chiude con un capitolo dedicato ai mater iali ‘cosmico’, attraverso l’opera di Enrico Prampolini,Eliseo Mattiacci e Anselm Kiefer. Di Enrico Prampolini (Modena, 1894 — Roma, 956), forse il più eclettico e originale esponente del futurismo italiano, vengono presentate Quattro opere’ i due celebri polimaterici Automatismo polimaterico C (1940) e Automalismo polimairico F (1941) esprimono una visione lirica e spir ituale della realtà, definita daII’artista stesso ‘idealismo cosmico”. Attraverso l’elaborazione polimaterica, Prampolini intende proiettarsi ‘oltre i confini della realtà terrestre’, sino ad indagare i misteri del cosmo. Se in queste opere vengono evocati i processi produttivi e i ritmi biologici della natura, nel decennio successivo prevale piuttosto la concezione della materia come inedita realtà extra-pittorica e anti-illusoria, come si può evincere dalle due opere polimateriche Apparizioni bioplastiche (1954) e Composizi’one Só. zollo e cobalto (1955).

Il tema del rapporto dell’uomo col cosmo contraddistingue l’intera vicenda creativa dell’artista marchigiano Eliseo Mattiacci (Cagli, 1940 — Fossombrone, 2019). L’autore stesso riferisce come sue fonti d’ispirazione “il cielo, il Cosmo, I’immensi]à deII’infinito”. Entrambi i Iavori oui esposti ben rappresentano l’enigmatico rigore con cui Mattiacci formula il suo universo visivo attraverso l’uso originale dei metalli, mater iali “vivi’ in grado di attivare scam bi di energie e nuove relazioni spaziali.

Di ispirazione cosmico-astronomica, infine, la grande opera pittor ica Eridanus (2004) di Anselm Kiefer (Donaueschingen, 945): qui la sfera celeste solcata dalla geometria della costellazione dalla quale aggetta un sottomar ino in piombo, mette in Iuce la riflessione dell’artista sul rapporto con la storia recente della nazione tedesca.

Collezione Giancarlo e Danna Olgiati

La Collezione Giancarlo e Danna Olgiati, aperta al pubblico nello spazio espositivo adiacente al centro culturale LAC, espone oltre duecento opere di grande rilievo artistico selezionate con modalità differenti a seconda degli allestimenti. La Collezione, tra le più significative per quanto riguarda l’arte italiana dal primo Novecento ad oggi, i Nouveaux Réalistes e l’arte contemporanea internazionale, viene riproposta due volte l’anno con allestimenti sempre diversi alternati a mostre temporanee dedicate ad approfondimenti dell’opera di artisti già inclusi in Collezione. Giancarlo e Danna Olgiati ritengono che la città di Lugano, con il MASI, possa diventare naturale erede della Colle zione; perciò dal ‘2012 la Collezione viene concessa in usufr utto alla città di Lugano e, nel 2018, i due Collezionisti donano 76 opere al MASI, consolidando il rapporto con il Museo della città ed in linea con la tradizione museale elvetica che lega da sempre istituzione pubblica a collezionismo privato.

Informazioni

Collezione Giancarlo e Danna Olgiati Lungolago Riva Caccia 1, 6900 Lugano 41 (0)91 815 79 73 info@collezioneolgiati.ch www.coIIezioneoIgiati.ch | www.masiIugano.ch

FONTI. Testoe e foto: area stampa MASI