
LECCO. Prestiti temporanei di poche opere, magari in ricorrenze e circostanze particolari, sembrano essere la formula alternativa o da attuare contemporaneamente alle grandi mostre a tema o alla collezioni pubbliche o private, quando queste vengono esibite.
Quanto appena descritto sembra essere diventata una consuetudine da ormai sei anni nella città lariana di Lecco che riflettere proprio questi intenti.
Anche per il 2024 si rinnova, con la ricorrenza calendariale più importante, l’iniziativa “Capolavoro per Lecco.”
Si tratta della sesta edizione, e per il 2024 l’artista ospitato a Palazzo delle paure, sede privilegiata anche per esposizioni temporanee, la personalità forse più adatta a incarnare il prototipo dell’umanista che introduce la “maniera moderna”.
Si tratta di Pietro Vannucci, più comunemente noto come “Perugino”.
L’artista si presenta a Lecco con la Pala Terzi, opera che fa da spunto per lo sviluppo di una riflessione sul tema della speranza e una attesa che genera il Natale.
A partire dal 20 dicembre, l’opera di Vannucci sarà affiancata tematicamente dalla statua della Madonna adorante dello scultore Giovanni Antonio di Giordano.
Si tratta di una scelta non casuale e che rafforza l’idea della provvidenza divina che giustifica la sopracitata speranza: infatti si tratta di un’opera pregenole sopravvissuta al terremoto di Norcia del 2016.
L’opera del Perugino ha come tematica una “Sacra Conversazione” e dunque molto piu che il classico tema più volte reiterato nel periodo in cui operava il pittore della madonna con bambino.
Conosciuta anche come Pala Tezi, (dal nome del committente), l’opera è stata realizzata nel 1500 e ad oggi è conservata alla Galleria Nazionale dell’Umbria di Perugia.
Si tratta di un olio su tavola delle notevoli dimensioni di 134 x 178 x 8 cm e mostra tutti i caratteri di una raggiunta maturità da parte dell’artista.
Con la figura al centro della Madonna con il Bambino sorretta da un volo di angioletti e copletata dalla compagnia di quattro Santi in una radura lacustre attorniata da formata dai colli declivi dalle sembianze paradisiache, quest’opera rappresenta un punto di arrivo del percorso del Vannucci che poi verrà ripreso e integrato dal suo piu illustre allievo.
Nella pala Terzi traspare lo stacco deciso dalle opere di artisti a lui contemporanei ma anche dalle sue stesse invenzioni di qualche anno precedenti.
Se il modello di base è fra quelli noti, compare in quest’opera un’attenzione maggiore a quelli che sono i piu che sedimentatti concetti neoplatonici appresi in formazione e sviluppati per via personale.
Lo si puo notare negli atteggiamenti che animano i protagonisti: figure algide, in”conversazione” solo ideale per mezzo di sguardi o riferimenti ai caratteri agiografici( per I santi) che li qualificano.
“Le sue cose hanno un’aria soave ed angelica”: cosi di esprime un cronista dell’epoca che riferisce e consiglia a Ludovico il Moro il Perugino fra gli altri artisti che la corte milanese stava cercando per decorare la Certosa pavese con una pala d’altare come quella eseguita poco tempo prima per Bologna.
Anche il Vasari, fonte autorevole per l’epoca, non tralascia di sottolineare i pregi del Vannucci.
In effetti in questa opera, in prestito nella citta lsriana dal centro Italia, la dolcezza della madre che dialoga con il figlio in se e nel dialogo è certamente evidente ma, forse, osservando con attenzione dal vero, si potrebbe scorgere un dialogo spirituale, non gia di sentimenti e al tempo stesso un accenno, nei lineamenti della vergine, di quella che si puo definire una prolessi legata alla missione del figlio.
Lo sforzo compositivo e inventivo è quello di operare una rivisitazione dei personaggi, attentamente individuati nella loro condizione psicologica come singoli e, appunto, nella “conversazione” che stanno intrattenendo.
Perugino non indugia sull’umanita delle figure, nemmeno là dove sarebbe stato opportuno farlo, enfatizzandone invece lo status.
San Girolamo guarda ed è guardato dal Bambino, Sebastiano guarda Maria, ricambiato, Nicola da Tolentino guarda, ma non è guardato da Gesu e San Bernardino da Siena è l’unico che guarda l’astante e quindi guarda fuori dal campo dell’opera e che sembra volerlo rendere partecipe di tale coversazioni.
Si tratta di intese spirituali che pur ben distinguendo lo status del gruppo compositivo della Vergine con Bambino e quello dei santi, senza dimenticare la natura come terzo elemento dialogando, idealmente e spiritualmente abbraccia la possibilità di una conversazione ecumenica.
Quell’effetto umano che deriva dai sentimenti, sarà Raffaello a inscenare con una tenerezza sconosciuta al maestro, che era e resterà sempre un magnifico inventore di iconografie legate al mondo neoplatonico.
Quasi inutile è sottolineare i palesi caratteri di preponderante luminosità e la saturazione cromatica che sono una cifra distintiva dall’artista di Città di Castello e che si ritrovano congiunte all’elevato livello tecnico dell’esecuzione, messe al servizio di un’armonia che nel dipinto è nominale ma e che l’artista non si sottrae dal trasfigurare.
Se è vero che il tema è sacro, non si deve scordare che nella l’artista aveva maturato una sensibilità naturalistica vicina alle esperienze dei fiamminghi e a quelle dell’amico Donato di Creti.
Altresi sono gli anni delle prediche del Savonarola ma anche gli anni che seguono l’esperienza nel cantiere della Sistina come capomastro.
In definitiva non è fuori luogo considerare la possibilità che le figure riprodotte con tanta grazia dall’artista, prima fra tutte quella della moglie Chiara Fancelli, che dagli anni 90 del quattrocento sarà il modello per le madonne del Vannucci, siano delle comparse in un sistema di valori più vicino a una visione neoplatonica che non piuttosto cristiana e dogmatica in senso stretto.
Tuttavia la possibilità di fare delle immagini una traduzione delle scritture ha reso i lavori del Perugino graditi alla committenza trasversale di laici quanto religiosi.
La pala sarà esposta a Lecco dal 5 dicembre ma in seguito, dal 20 dicembre fino a febbraio 2025 e l’iniziativa “Capolavoro per Lecco” si completerà con anche la presenza di una scultura lignea che forse più di ogni altro informa l’idea di speranza e provvidenza:
“La Madonna adorante” opera di Giovanni Antonio di Giordano.
Si tratta di una statua, riferita con certezza perche datata al 1499 che raffigura la Madonna in adorazione del Bambino.
Si tratta(va) di due figure distinte. Gesù Bambino, in origine adagiato sulle gambe della Madre, è stato trafugato nel secolo scorso e dunque l’opera si presenta tecnicamente incompleta.
Tuttavia si puo affermare con certezza di constatare una raffinatissima attenzione nei modi espressivi che in un certo senso ripercorrono quelli del Perugino e rappresenta una delle più alte testimonianze umbre in Valnerina di scultura e plastica rinascimentale.
L’opera oggi è conservata nella chiesa di Santa Maria Assunta a Castelluccio di Norcia, in uno dei punti orograficamente più elevati dell’Umbria, posta alle pendici dei Monti Sibillini.
Proprio a seguito del terremoto del 2016 che distrusse l’intero paese, quest’opera è miracolosamente sopravvissuta ed è per questo che tanto efficacemente si presta a veicolare il doppio massaggio di speranza e provvidenza in forma tangibile e non, in astrazione, come spesso vien inteso tale aspetto.
La pala Terzi con i suoi contenuti espliciti e impliciti è ospitata, – secondo quanto espresso in conferenza inaugurale, – per sollecitare una riflessione sul significato che si origina dal Natale, e di contro agli episodi di violenza trasversale nei vari ambiti di vita associata e privata.
L’esposizione è curata da Alessandro Delpriori, docente di storia dell’arte all’Università di Camerino.
LUCA NAVA