UN INSEGNAMENTO NON SCONTATO DAI CLASSICI GRECI: IL RITORNO DI ULISSE A ITACA E L’INATTESO INCONTRO

Giovanni Domenico TiepoloProcessione del cavallo di Troia, 1773 fonte Wikipedia

MILANO. Nell’affrontare tematiche relative all’antichità classica, prolungando l’indagine di ricostruzione di un passato fin anche all’alto medioevo, si incorre sempre in una difficoltà metodologica.

Oltre alla ricostruzione della dinamica dei fatti partendo da attendibili fonti documentarie, anche il contributo di leggende, delle credenze, degli aneddoti, unitamente alla piu ampia varietà di fonti, tutte sedimentate con il passare dei secoli (epurandole da evidenti fantasiose aggiunte), possono serbare quel frangente di verita che è labile, ma porta con se aspetti di altro e immenso valore.

Si tratta di aspetti pertinenti al vivere di ogni luogo e ogni tempo….quantomeno fino al tempo contemporaneo che tali aspetti ha l’ardire di mettere in discussione.

Un episodio esemplare fra i tanti che si possono rintracciare nella letteratura classica (cosi come nel periodo aureo delle tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripidenate dell’attica e in parte nella letteratura protocavalleresca medievale), si trova nell’Odissea.

Il tema dell’organizzazione sociale e della struttura della società antica e in parte per molti aspetti anche di quella alto medievale, del vivere civile in contesti per loro origine guerriera e la precarietà della vita in tali condizioni, apre un vulnus su quale potesse essere la concezione e percezione dei legami affettivi e/o dell’amore in tali contesti.

Alludendo con questi termini, ossia amore, e affetto all’aspetto di più alta concezione e nobile estrazione, scevro da ogni strumentalizzazione o preconcetto.

Nel poema omerico, una delle scene d’amore più belle e coinvolgente riguarda proprio Ulisse e si tratta di una delle scene maggiormente commoventi di tutta la letteratura antica e non solo.

Non c’entra nessuna donna stavolta, nessuna impresa per conquistare i suoi favori, nessun gioco (o meglio inganno) di seduzione.

Tanto meno entra nel ruolo, nemmeno marginale, la tanto acclamata e sovrastimata Penelope.

Omero è generalmente considerato come il capostipite della «mascolinità tossica», colpa anche di una certa metodologia di insegnamento dal secondo dopoguerra in poi che ha strumentalizzato i ruoli sociali, tentando di trovare un fondamento di tali strumentalizzazioni nel passato e in particolare nell’immaginario e nell’etica del mondo antico.

Eppure quest’autore è stato in grado di lasciare una testimonianza personale e di un’intera Civiltà, in ‘una delle scene d’amore più commoventi che siano mai state scritte.

La storia di Ulisse è una storia di viaggi, di avventure, anche di perdizione, ma soprattutto è la storia di un uomo che desidera una cosa sopra tutte: tornare a casa.

Tornare a casa significa tornare in una dimensione intima, in cui si può essere se stessi, per Ulisse significa essere l’uomo con le sue fragilità che può mostrare senza timore di venire colpito a tradimento, dove non si deve mostrare imperturbabile per infondere forza ai suoi compagni d’avventura.

Tornare a Itaca significa ricevere affetto dalla sua Penelope, donna e compagna di vita, in modo sincero, dopo la seduzione ingannevole delle sirene.

Finalmente dopo vent’anni Ulisse torna nella sua amata Itaca.

È uno dei momenti più intensi di tutta l’Odissea: Ulisse vede la sua città, vede da lontano, dalla prua della sua nave, suo figlio Telemaco che ormai è diventato un uomo.

E in quell’istante lo assale un moto interiore di nostalgia, perché si accorge di quanto il tempo sia volato via e che in quel momento si carica di tanto valore quanto mai ne ebbe.

Ulisse però, prima dell’attracco, pieno di cautela e dubbi legittimi, viste le esperienze vissute e tesaurizzate, si traveste da mendicante per non farsi riconoscere dai Proci che avevano usurpato il suo trono.

Accade cosi che nessuno lo riconosce.( lo farà Euriclea, colei che ne fu la balia, ma molto più tardi, riconoscendo una vecchia cicatrice sul piede).

Non lo riconosce suo figlio, non lo riconosce sua moglie, non lo riconosce la sua gente.

Tutti vedono soltanto i suoi abiti laceri, e un uomo pari a un pezzente presente con i suoi capelli e barba incolti, il volto scarno e lo scambiano per un «vecchio mendicante».

Soltanto uno, tra tutta la gente di Itaca, lo riconosce: Argo, il suo cane.

Vien da chiedersi cosa si nasconde dietro l’attenzione dell’autore nel dare cura a questo momento all’apparenza di poco conto e invece intensissimo di rincontro.

Per Argo, quello che per oggi molti ancora, se non quasi per tutti è un cane, “solo” un cane,

per Omero e tutta la civiltà antica, è invece molto, molto dipiu.

Argo è una persona- non- umana, è il simbolo del regno animale, un vero e proprio regno, con i suoi re, regine, regole e leggi sottratte alla razionale comprensione e a ogni religione, custode dei segreti della teleologia naturale: quello sfondo immutabile che sempre è stato, è e sarà, teatro in cui vanno in scena le vicende umane e non.

È il luogo in cui cercare il senso che investe la vita, intesa in modo piu ampio concepibile e anche nella sua parte inconcepibile.

Per Argo, Ulisse non è un principe, un re o un mendicante, a lui non importa nulla dell’aspetto di Ulisse, non si cura di cosa indossa, di come appare, cosa abbia fatto in quegli anni o perché: gli basta sentire la sua voce, e con essa la sua unicità, il suo animo, per riconoscerlo.

Quell’animo cosi affaticato ed esanime dopo tante prove affrontate.

Il tempo di uno sguardo intensissimo fra occhi che hanno vissuto vite diverse, ma che in quel momento si ritrovano e si riconoscono al di là di tutto.

Così i due, nella narrazione del poeta, si erano rivisti dopo vent’anni.

Proprio In quel momento di ricongiungimento degli animi, tempo di uno sguardo, afferrò Argo che così, avendo finalmente sentito il suono della voce di Ulisse, per un’ultima volta, dolcemente poté, l’amico fedele, dopo una estenuante attesa, lasciarsi morire.

Cit:” Ulisse riguardando s’astrense

con man furtiva dalla guancia il pianto.

Ed Argo, il fido can poscia che visto,

ebbe dopo dieci anni e dieci che Ulisse,

gli occhi, nel sonno della morte, chiuse”.

Restano immortali i versi del poeta, cosi come immortali restano nella memoria, sottratti alla tirannia del tempo, la sincerità e la salda, incrollabile presenza fedele e paziente, ben più che quella di Penelope, quella di Argo fu per Ulisse un tesoro inestimabile: per lui e solo per lui Ulisse piange.

Inevitabile leggere questa scena, per l’ennesima volta e commuoversi, se ci si accorge dell’immenso valore di tutto ciò che Omero non tralascia di sottolineare con artifici linguistici raffinatissimi.

È necessario “sentirla” questa volontà del poeta, andando oltre la lettura fine a se stessa.

Argo aveva conservato il suo ultimo respiro per Ulisse, per colui che era stato lo scopo di tutta la sua vita, mentre per Ulisse il suo amico aveva preso parte solo un frangente della propria.

Omero nell’indugiare degli sguardi, lascia intendere che il cuore e la mente dell’eroe del poema epico, vengono rapiti da questa consapevolezza e forse qui sperimenta fugacemente, ma Veramente, per la prima volta, cosa sia amore e lealtà autentici, fino al dono di se: nello sguardo di un cane…del “suo” cane.

Alla domanda di chi chiede a cosa serva oggi leggere i classici, ” gente di tremila anni fa, una risposta sufficiente potrebbe essere anche solo questo episodio.

In modo più esplicito si potrebbe invece rispondere che in un’epoca di relazioni usa e getta, si dirà che in fondo non c’è nulla di così straordinario in questa scena.

Perché cose come l’amicizia, la lealtà e l’amore che sopravvive alla lontananza e al dolore del distacco, alla penosa attesa, sono incomprensibili in una società che ha fatto dell’assenza dei legami una moda di cui vantarsi.

Ecco perché in un mondo tanto cinico, nichilista, di rapporti opportunisti come quello di oggi c’è da augurarsi di avere alcune cose, in ordine:

*Una buona collana di classici e la voglia di leggerli con curiosità e umiltà.

*Qualcuno( non per forza di cose un animale umano) che sappia amare, in modo sincero e disinteressato, ciò che si è, e non per qualcosa d’altro, qualsiasi cosa sia questo “altro”.

*Colui/lei(animale umano o no, come dicevano greci e latini) che sappia guardare negli occhi con la stessa dedizione, rispetto, sincerità e dignità che Argo ha avuto per Ulisse e viceversa.

*L’ordine di importanza che si conferisce alla realtà che si vive è strettamente congetturale: nell’ordine generale della natura, vita umana, animale, vegetale e condizione inorganica hanno lo stesso valore: ricordarsene quando sovviene mania di onnipotenza.

*Raccontare questa storia a figli e nipoti se ve ne sono, invece che cappuccetto rosso, zorro e pokemon….magari con il buon esempio, ci sono più probabilità che ne portino fin da piccini, il seme di grande valore e significato, per farne un robusto albero in età adulta.

Libri XIII – XXIII, Odissea.

LUCA NAVA