UN RICORDO DI CESARE FILIPPI: L’UOMO, IL PARTIGIANO, L’ARTISTA

Filippi, Partigiano, press kit uf stampa mostra, immagine inserita al solo scopo di presentare l’evento

RIMINI Cesare Filippo: l’uomo, il partigiano, l’artista. Il ricordo dell’affermato pittore incisore e ritrattista forlimpopolese (1924-2010) si è arricchito del recente omaggio della mostra “Avarcurde’ via Soardi, la strada degli antiquari?” che al Museo civico riminese ha visto in mostra il dipinto di grande dimensione “La bottega dell’antiquario”. In esso era descritto un pezzo della storia della città: la strada che dal 1967 al 2003 vide la presenza di ben otto botteghe antiquarie, e fu cuore della vita culturale grazie al cenacolo rappresentato dalla libreria antiquaria dell’editore Luisè a Palazzo Albini, punto di incontro abituale di intellettuali e bibliofili.

Nel 1953 la prima mostra personale a Forlì. Nonostante il fatto che la militanza politica costituisse una parte importante della sua vita (risale a quegli anni la conoscenza di Renato Guttuso), la sua opera si mostrò sempre indipendente da stili o linee guida predeterminati. Tenne mostre nazionali ed internazionali ottenendo premi e riconoscimenti. Sue opere si trovano presso collezionisti e gallerie pubbliche e private in Italia e all’Estero.

Appassionato musicista, finita la guerra l’artista entrò a far parte della Jazz Band Aurora come violinista. Con l’intensificarsi dell’attività grafica e pittorica, entro a far parte dell’Associazione riminese artisti e cultori d’arte e nel 1958 partecipò alla “Mostra di pittori riminesi” tenutasi alla Camera di Commercio di Ravenna. Seguendo i canoni del neorealismo prediligeva i soggetti popolari legati al lavoro, alle rivendicazioni sociali, alla casa, alla famiglia e principalmente alla scuola. I suoi dipinti si distinguono come rappresentazioni piene di vivacità grafica e coloristica, dove risalta il viraggio stilistico verso un espressionismo lirico e sentimentale. Dagli sfondi, su di un colore integrato da velature dense e sostanziose, nascono le figure negli interni, le scene di mare e di spiaggia con i corpi distesi al sole, i paesaggi, le nature morte, senza trascurare i ritratti.

Nell’Aprile 2017 il Comune di Forlimpopoli ha ricordato l’artista pittore e partigiano in occasione della presentazione del libro biografico scritto dal figlio scrittore Fabio Filippi: “ Rossi Gialli e altri colori che non posso dire” (edizioni Nulla Die).

Cesare ha vent’anni, è un giovane artista che vive in un paese di provincia. Suona il violino, dipinge e sogna. Ma dopo l’8 settembre 1943 un’intera generazione si trova a un bivio: deve scegliere da che parte stare. Decide di lasciare tutto e andare in montagna tra i partigiani dell’ottava Brigata Garibaldi. Lui, suo cugino Edoardo e l’amico Vladimiro vivono quell’esperienza che segnerà per sempre le loro vite.

All’inizio degli anni Sessanta risale la serie delle opere di soggetto resistenziale , memoria della diretta esperienza di lotta, ma anche atto di una denuncia forte e di condanna degli orrori della guerra, che si spinse alla realizzazione d’immagini sui fatti del Vietnam. Tra le diverse opere realizzate in questo ciclo: “Il bambino deportato”, la tragica figura del “Partigiano torturato” (1962), e dipinti appartenenti alla Raccolta comunale d’arte forlimpopolese come “No alla violenza” del 1972 e il grande olio su tela della “Crocifissione”. Vicende che trasfigurò artisticamente facendo uso di due linguaggi espressivi di rara efficacia, ha scritto Orlando Piraccini: «uno sostanzialmente figurativo e l’altro basato sulla rottura dell’immagine con il recupero di stilemi postcubisti e in chiave metaforico-simbolista».

Episodi che rimandano a quelli descritti nelle pagine del libro: dall’appassionata partecipazione alla resistenza con il nome di battaglia di Pedro, al dolore provato per la morte del cugino Edoardo, all’amore sempre nostalgicamente presente per la musica, alla paura provata vinta però dal coraggio dimostrato, che gli valse la croce di guerra.

«Così in fondo lo conoscono – dice Fabio Filippi – tutti coloro che l’hanno incontrato e riconosciuto come uomo mite, generoso nelle relazioni umane, con i suoi limiti di un artista forse troppo confinato nel proprio atelier».

MARCELLO TOSI