UNO SGUARDO SU ANDY WARHOL

I famosi barattoli di zuppa Campbell spesso rappresentati da Warhol, fonte Wikipedia.

VITERBO. Andy Warhol, (1928-1987), è il principale protagonista della “Pop Art”, la corrente artistica americana degli anni sessanta. Il lavoro di questo artista si basa sui mezzi di comunicazione di massa che, in una società consumistica che fagocita tutto velocemente, hanno acquistato più importanza del prodotto. Per fare questo Warhol si serve della fotografia e della serigrafia che è un metodo di stampa attraverso un tessuto di seta.

I temi sono i più vari che la pubblicità offre: Coca Cola, fiori, prodotti alimentari, personaggi celebri come le attrici Liz Taylor o Marilyn Monroe.

Tutto è trattato con la stessa importanza, poiché tutto è un bene di consumo. Spesso lo stesso soggetto è ripetuto in serie, inflazionato, ossessivo, come, appunto, un prodotto che l’industria pubblicitaria ci vuole convincere ad acquistare. Questi lavori sono, volontariamente, artificiali, sovraesposti, anche cromaticamente, devono attirare, sedurre, convincere, piacere. Un’umanità che diventa stereotipo, fredda, di plastica, finta, effimera.

Dall’aspetto eroico, soggettivo, esistenziale, degli artisti dell’Action Painting, si passa ad un’idea di arte “meccanica” che favorisce una creatività accessibile a tutti e da tutti eseguibile. Warhol capisce che nel campo della comunicazione e della fruizione estetica sono avvenute delle importanti e decisive trasformazioni che hanno fatto perdere agli artisti il monopolio della produzione di immagini e, di conseguenza, all’arte non viene più assegnato il dominio dell’emozione di romantica memoria.

Le scelte di Andy Warhol si affidano completamente ad una iconografia quotidiana e banale, di largo consumo collettivo. L’artista parte da un originale fotografico che viene poi riprodotto in molte copie, anche quando fa uso della tecnica dei colori ad olio su tela, questi vengono impiegati in modo meccanicamente esatto come le opere riscontrabili nelle serie ottenute con la tecnica serigrafica.

Anche l’ambiente di lavoro, lo studio dell’artista, cambia radicalmente, al suo posto, Warhol, crea la “Factory”, un laboratorio sperimentale frequentato da altri artisti, grafici, fotografi, registi, attori, modelle, musicisti, gente di passaggio, ecc…insomma collaboratori che contribuiscono a formare una sorta di lavoro anonimo, a catena, dove non è possibile distinguere il “tocco” dell’artista da quello di chiunque altro. Il risultato finale di questi lavori è quello di una figurazione fredda e quello che interessa a Warhol non è tanto il contenuto specifico dell’immagine ma la qualità stessa dell’immagine meccanica, la sua stilizzazione rituale che trasforma l’opera in cliché e in stereotipo.

L’artista americano porta alle estreme conseguenze le idee di Marcel Duchamp che più di ogni altro influenzò la ricerca artistica americana degli anni Sessanta. Infatti è a partire dal lavoro dell’artista francese che l’interesse per la tradizionale manualità del fare artistico viene meno, poiché emerge un nuovo modo di pensare l’arte e il ruolo dell’artista.

Certo, negli anni Dieci, Duchamp, faceva opere fortemente antagoniste rispetto alle abitudini del pubblico suscitando grande scandalo (l’orinatoio esposto come opera d’arte, la ruota di bicicletta, lo scolabottiglie, i baffi alla Gioconda, ecc…) mentre Warhol trova, nei suoi lavori, la formula del successo: le sue opere moltiplicate, fatte in serie con minimi margini di differenza tra un esemplare e l’altro, hanno anche raggiunto quotazioni tra le più alte sul mercato artistico e si affermano, così, come una tra le espressioni più originali della Pop Art americana.   

AUTORE: ALFONSO TALOTTA