Usare quadri come antifurto

“Come non farsi rubare l’auto? Lasciando quadri in macchina!”. Questa era la frase che spesso ripeteva un caro amico artista che ormai ci ha lasciati da tempo. La cosa più divertente è che non solo si riferiva ai suoi quadri, ma lo faceva veramente, lasciando le chiavi nel cruscotto quando parcheggiava la vettura. Non ho mai incontrato, né prima né dopo di lui, un artista che in qualche modo “disprezzasse” i suoi quadri al punto da non ritenerli neppure degni d’essere rubati. “Sono brutti”, mi diceva. Ma davvero esiste il “brutto” e il “bello” in arte? Fino a quando ha imperato il realismo sì. Mi spiego: sino a quando il “bello artistico” era ciò che risultava armonico e proporzionato, secondo la preziosa lezione del classicismo, distinguere il brutto dal bello artistico era abbastanza semplice. Ma poi, specialmente con l’affermarsi dei movimenti sperimentalisti del Novecento e con la progressiva modificazione del “gusto” dei fruitori, non più legato strettamente a ciò che si riferisce direttamente al “reale”, la distinzione fra bello e brutto artistico non è stata più così facile e immediata. E allora ecco che il “brutto” diventa arte. Con la conseguenza, paradossale, che qualsiasi cosa, anche la “lista della spesa”, potrebbe essere considerata “un’interessante opera d’arte” in quanto manufatto frutto della creatività. Ma è davvero così? Forse ha ragione il biologo-filosofo francese Jean Rostand, secondo il quale “nell’arte, la bellezza non è altro che la bruttezza mitigata”? Non so. Una cosa è però certa. Un giorno ho visto arrivare quel mio amico artista, quello che usava i suoi quadri come antifurto. Era senz’auto. “Mi hanno rubato la macchina”, mi disse. Per poi aggiunge con un certo orgoglio: “Però mi hanno lasciato i quadri. Con un biglietto: i tuoi quadri sono talmente brutti da essere belli!”. E dire che esiste persino un Museo dell’Arte Brutta, il MoBa (http://museumofbadart.org/).

AUTORE: SIMONE FAPPANNI © RIPRODUZIONE DEL TESTO RISERVATA