VANGI: COLLOQUIO CON L’ANTICO AL MART

Giuliano Vangi, Giulia vestita di verde, 1990, Archivio Vangi, press kit area stampa Mart

ROVERETO . Abstract Giuliano Vangi. Colloquio con l’antico. Pisano, Donatello, Michelangelo al Mart di Rovereto fino al 9 ottobre 2022

di Erminio Morenghi

Il Mart di Rovereto offre fino al 9 ottobre 2022 una grande mostra su Giuliano Vangi,  uno degli scultori più significativi tra il Novecento e l’età post-moderna, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi con l’allestimento suggestivo dell’architetto Mario Botta, grande amico di Vangi e collaboratore nella realizzazione di opere architettoniche religiose come, ad esempio, la cappella di Azzano di Serravezza, la chiesa di Giovanni XXIII a Seriate e quella di Namyang in Corea del Sud.  L’evento curato da Massimo Bertozzi e Daniela Ferrari vuole essere un omaggio alla lunga carriera di Vangi e in particolare al compimento del suo novantesimo anno d’età.

L’artista è nato a Barberino di Mugello nel 1931 e sin da ragazzo ha evidenziato una spiccata attitudine al disegno. Dopo aver frequentato l’Accademia di Belle Arti e la Scuola di nudo a Firenze, si è dedicato all’insegnamento sino alla fine degli anni Cinquanta, per poi trasferirsi in Brasile, dove è rimasto fino al 1962. Il soggiorno brasiliano gli ha dato modo di confrontarsi con l’arte astratta, ricorrendo all’utilizzo di diversi materiali come il cristallo e i metalli, e di distinguersi per le sue originali creazioni sia in Brasile che negli Stati Uniti. Una volta rientrato in Italia, si è dedicato nuovamente all’insegnamento e, sul versante artistico, ha recuperato la dimensione figurativa che non abbandonerà più. La prima mostra personale sul suolo italiano, a Firenze, a Palazzo Strozzi nel 1967, ha inaugurato una lunga stagione di eventi  dedicati alla sua fervida produzione prevalentemente scultorea intervallata anche da opere grafiche che l’ha consacrato, nel corso degli anni, tra gli scultori più celebri a livello internazionale. Importanti committenze religiose (in particolare il crocifisso, i santi e l’altare del duomo di Padova)  e laiche, prestigiosi premi nazionali e internazionali, numerose acquisizioni da parte dei più famosi musei del mondo come quello dell’Ermitage di San Pietroburgo, un museo a lui espressamente dedicato a Mishima  in Giappone, il conferimento del titolo di membro di importanti accademie e della laurea honoris causa da parte dell’università di Tokio attestano la celebrità raggiunta da Vangi, frutto  di un’attività artistica assai fervida, originale e davvero sorprendente  per il numero di opere prodotte. 

Sono più di cinquanta le sculture visibili al Mart, cui si affiancano una ventina di disegni (tra i quali C’era una volta, 2004, Katrina, 2006, Studio per Veio, 2010, Grande paesaggio, 2017, Il soldato, 2017, Disegno, 2021) che spesso preludono icasticamente alla realizzazione di opere scultoree recanti lo stesso titolo e che collocano l’artista nel solco della grande tradizione grafica toscana (Leonardo da Vinci, Pollaiolo, Botticelli, Michelangelo, Rosso Fiorentino, Baccio Bandinelli ecc.). Ma ciò che colpisce il visitatore è il dialogo serrato di Vangi con la formidabile statuaria gotica e rinascimentale toscana presente in mostra attraverso le opere encomiabili di Giovanni Pisano (Crocifisso, 1300 circa), Tino di Camaino (Vergine annunciata, prima del 1315, San Giovanni Battista, 1310 circa, Angelo con devoto inginocchiato, 1315 circa), Agostino di Giovanni (Figura virile con cartiglio, 1337-1339), Francesco di Valdambrino (Annunciazione, fine XIV-inizio XV secolo), Jacopo della Quercia (Santo monaco [San Leonardo], secondo decennio del XV secolo), Donatello e cerchia (Busto di Niccolò di Uzzano, 1432 circa, San Pietro martire, metà del XV secolo) e non da ultimo del divino Michelangelo per il tramite di due studi di figure per una Trasfigurazione e uno raffigurante delle teste, non datati e provenienti da Casa Buonarroti di Firenze. L’evento dedicato a Vangi rientra a pieno in quella ricerca di continuità e similitudini tra l’arte antica e quella contemporanea che il Mart porta avanti da anni. Come scrive acutamente Vittorio Sgarbi, cogliendo nel segno, «Non ci sono antico e moderno, presente e passato. E non è un capriccio il desiderio manifestato da Vangi, e da me condiviso, di un accostamento a Michelangelo. Perché proprio le figure in movimento per una Trasfigurazione non testimoniano una citazione, ma una interiorizzazione, il passo di Michelangelo e quello di Vangi si sintonizzano. Procedono all’unisono, con lo stesso ritmo interiore. Non è continuità, è contemporaneità. Vangi respira, ansima con Michelangelo».

Questa riflessione può valere anche per le opere degli altri antichi maestri summenzionati, in quanto il linguaggio icastico, le linee formali, la forte espressività dei sentimenti ammantata di sacralità, il racconto epico e drammatico che li connotano, annullano di fatto la distanza e la decantazione temporali. 

Se si passa in rassegna le sculture di Vangi in mostra, tra le quali Uomo seduto (1964), Donna nel tubo (1967-1968), Donna che ride (1968), Nudo di donna in piedi (1968), Ragazza con cappotto (1989), Giulia vestita di verde (1990), Uomo vestito di grigio (2000), Ares (2004), C’era una volta (2005), Per non sentire (2005), Figura con mano ai capelli (2006), Uomo (2008), Duemilaundici (2013), Uomo con canottiera (2016), Bassorilievo e uomo in piedi (2021) Jolanda (2022) ci si accorge della pronuncia fortemente esistenzialista di queste creazioni che gravita attorno ai grandi temi della condizione umana: il senso di solitudine, di precarietà e di spaesamento, le derive dell’umano, le incertezze del presente, il disagio e l’angoscia, l’arroganza, la violenza e la sopraffazione individuale e collettiva, le insoddisfazioni e le accuse dei giovani; il tutto reso con un realismo forte, talvolta esasperato, non mimetico, e quindi originale, personale, autonomo che non fa leva sul frammento, sulla citazione, ma che sfida il tempo, che va oltre il tempo in una prospettiva eternizzante. Alcune sculture di Vangi si possono lecitamente accostare a certe opere inquietanti e crude di Francis Bacon a testimoniare alcune consonanze simpatetiche nello scavo artistico dell’animo umano. Dal canto suo Vittorio Sgarbi ha definito la statuaria di Vangi “un’autobiografia in scultura”; buona parte della critica parla di realismo polifonico e polimaterico a sfondo esistenzialista con risvolti drammatici. Sicuramente Vangi possiede un’eccezionale e sublime capacità scultorea propria di un grande maestro che ha interiorizzato la ieraticità astratta dell’arte assiro-babilonese, egizia ed etrusca e la forte carica espressiva della grande scuola toscana tra Medioevo e Rinascimento. Tale capacità non è disgiunta però da un sapiente uso e da una approfondita conoscenza dei materiali, i più disparati come la pietra, la creta,  il cristallo, il marmo, il legno, i metalli, le moderne resine e l’avorio. Si serve persino delle protesi dentarie, dei denti di porcellana e degli occhi di vetro per conferire maggiore forza espressiva alle sue creazioni. Spesso le sue opere  sono dipinte con smalti e vernici, recuperando in tal modo la tradizione antica e medievale di colorare le statue. A Vangi interessa immettere la vita nei suoi lavori con l’obiettivo di emozionare l’osservatore, veicolando precisi contenuti che riguardano i grandi temi dell’esistenza umana. L’aggiunta del colore enfatizza la fruizione, la rende più diretta ed incisiva. La sua ricerca è sempre aperta a impreviste sfide che vanno di pari passo con nuove idee e progettazioni. In lui il movimento delle forme, il respiro del materiale plasmato, le esperienze tattili informano la sua poetica, la sua tecnica, la sua visione artistica e la sua cifra autoriale. Ma è bene ricordare che il desiderio di far muovere la materia, di renderla dinamica nello spazio e nel tempo, è subentrato con il passare degli anni, con la maturità;  precedentemente le sue statue si presentavano solide e monolitiche, apparendo come inglobate nel marmo o nella pietra.    

Un gruppo di opere presenti al Mart problematizzano pure il rapporto uomo-natura. In particolare sono degne di nota, Uomo e caprone (2003), Uomo e animale (2004), Katrina (2014), Uomo al mare (2015), Donna nel paesaggio nero (2021), Donna e arbusti (2021), Paesaggio in granito nero (2021), Le balze e uomo in piedi (2021), Uomo seduto e paesaggio (2021). Tali creazioni denunciano il rapporto ambivalente, conflittuale dell’uomo nei confronti della natura e delle sue creature (Uomo e caprone, 2003; Uomo e animale, 2004). Da vittima dei fenomeni distruttivi insiti nella natura come, ad esempio, l’uragano Katrina che si è abbattuto negli Stati uniti nel 2005, cui Vangi ha dedicato la scultura Katrina del 2014, l’essere umano diviene carnefice esercitando violenza nei confronti dell’ambiente naturale e degli animali. La simbiosi uomo-natura si è da tempo interrotta, creando paesaggi e stati mentali di desolazione, di solitudine, di angoscia (Donna nel paesaggio nero, 2021). Fronteggiano l’uomo balze scoscesi e irte, massi erratici lamelliformi, arbusti contorti serpeggianti che simboleggiano la disarmonia, la distopia, la minaccia incombente. 

La mostra del Mart, corredata di un pregevole catalogo edito da Libri 24 ORE Cultura e visitabile tutti i giorni della settimana (mart-dom 10.00-18.00; ven 10.00-21.00) tranne il lunedì (si visiti in proposito il sito www. Mart.tn.it) intende celebrare uno dei grandi maestri della scultura italiana che ha saputo e sa ancor oggi dar voce ai drammi dell’uomo contemporaneo, come seppero fare un tempo Adolfo Wildt, Arturo Martini e Marino Marini, additando una prospettiva catartica e salvifica.