GIOVANNI BOLDINI: 80 A PALAZZO MAZZETTI

Giovanni Boldini, Busto di giovane sdraiata , 1912 c. Olio su tela , 65×80,5 cm Ca’ la Ghironda ModernArtMuseum, Bologna, press kit uf stampa Fondazione Asti Musei: immagine inserita al solo scopo di presentare la mostra

ASTI. Fino al 10 aprile 2023 Giovanni Boldini, uno degli artisti italiani più amati di ogni
tempo, viene ricordato con una grande mostra evento allestita al Palazzo Mazzetti di Asti, L’esposizione comprende ben ottanta opere.

Questi i dettagli desunti dal comunicato stampa
Dopo i successi delle mostre Chagall. Colore e magia, Monet e gli impressionisti in Normandia, I
Macchiaioli. L’avventura dell’arte moderna, la collaborazione tra Fondazione Asti Musei e Arthemisia
continua a richiamare folle di visitatori ad Asti.
Il nuovo progetto, a cura di Tiziano Panconi, è dedicato al genio indiscusso di Boldini.
80 magnifiche opere – tra cui Signora bionda in abito da sera (1889 ca.), La signora in rosa (1916),
Busto di giovane sdraiata (1912 ca.) e La camicetta di voile (1906 ca.) – sono protagoniste di una
narrazione cronologica e tematica al tempo stesso.
L’esposizione presenta una ricca selezione di opere che esprime al meglio la maniera di Boldini, il suo
saper esaltare con unicità la bellezza femminile e svelare l’anima più intima e misteriosa dei nobili
protagonisti dell’epoca.
Una mostra che pone l’accento sulla capacità dell’artista di psicoanalizzare i suoi soggetti, le sue
“divine”, facendole posare per ore, per giorni, sedute di fronte al suo cavalletto, parlando con loro senza
stancarsi di porle le domande più sconvenienti, fino a comprenderle profondamente e così coglierne lo
spirito, scrutandone l’anima.
Farsi ritrarre da Boldini significava svestire i panni dell’aristocratica superbia di cui era munificamente
dotata ogni gran dama degna del proprio blasone. Occorreva stare al gioco e accettarne le provocazioni,
rispondendo a tono alle premeditate insolenze ma, infine, concedersi, anche solo mentalmente, facendo
cadere il muro ideologico dell’alterigia, oltre il quale si celavano profonde fragilità.
Egli coglieva al volo l’attimo fuggente, quel momento unico in cui un’occhiata più sincera rivelava lo stato
d’animo e la mimica del corpo si faceva più espressiva, l’istante in divenire fra un’azione e l’altra, quando
la forza motoria di un gesto si esauriva, rigenerandosi prontamente in quello successivo.
Negli anni della maturità e poi della senilità, le lunghe e vorticose pennellate, impresse come energiche
sciabolate di colore, rimodellavano in senso dinamico i corpi delle sue “divine” creature e il suo stile, a
un tempo classico e moderno, costituiva la miglior risposta alle vocazioni estetiste e progressiste
manifestate dagli alti ceti sociali.
La mostra Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque, con il contributo concesso dalla Direzione
generale Educazione, ricerca e istituti culturali del Ministero della cultura, è realizzata dalla
Fondazione Asti Musei, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, dalla Regione Piemonte e dal

Comune di Asti, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Torino, in collaborazione
con Arthemisia, con il patrocinio della Provincia di Asti e vede come sponsor il Gruppo Cassa di
Risparmio di Asti.
Catalogo edito da Skira.
LA MOSTRA
Boldini lo stregone, Boldini il fauno, Boldini il pittore!
Questo e molto altro era quell’omino insolente dall’accento italiano che passeggiando per Parigi, da
sotto la bombetta, guardava chiunque dall’alto in basso, ricambiando un saluto con una smorfia di
distaccato disappunto. Lui, figlio del modesto pittore-restauratore Antonio, sapeva cosa fosse il disagio,
avendo provato sulla sua pelle l’umiliazione della miseria, di quel corpicino striminzito compreso in un
solo metro e cinquantaquattro di altezza. Lui che da giovane non era stato considerato un buon partito
per il suo unico grande amore, Giulia Passega, andata in sposa a un giovanotto di buona famiglia,
impiegato alla prefettura.
Ecco chi era, davvero, Boldini: un ragazzo della provincia padana venuto dal basso, finito nei salotti
dell’alta società, nel cuore pulsante della civiltà e di un’epoca che lo avrebbe consacrato quale uno dei
suoi più iconici protagonisti.
La mostra Giovanni Boldini e il mito della Belle Époque pone l’accento sulla capacità dell’artista di
psicoanalizzare i suoi soggetti, le sue “divine”, facendole posare per ore, per giorni, sedute di fronte al
suo cavalletto, parlando con loro senza stancarsi di porle le domande più sconvenienti, fino a
comprenderle profondamente e così coglierne lo spirito, scrutandone l’anima.
Farsi ritrarre da Boldini significava svestire i panni dell’aristocratica superbia di cui era munificamente
dotata ogni gran dama degna del proprio blasone. Occorreva stare al gioco e accettarne le provocazioni,
rispondendo a tono alle premeditate insolenze ma, infine, concedersi, anche solo mentalmente, facendo
cadere il muro ideologico dell’alterigia, oltre il quale si celavano profonde fragilità.
Dopo giorni di pose immobili, conversando e confessandosi, durante i quali il “fauno” poteva anche
permettersi il lusso di perdere intenzionalmente tempo tracciando svogliatamente qualche segno sulle
pagine di un taccuino per osservarle e comprenderle o abbozzare uno studio su una tavoletta, quando la
confidenza era divenuta tale da addolcire gli sguardi e talvolta esplodere perfino nel pianto liberatorio e
più spesso in atteggiamenti nevrotici o eccitati fino alla follia, ecco che solo allora scattava la scintilla
predatoria dell’artista.
Egli coglieva al volo l’attimo fuggente, quel momento unico in cui un’occhiata più sincera rivelava lo stato
d’animo e la mimica del corpo si faceva più espressiva, l’istante in divenire fra un’azione e l’altra, quando
la forza motoria di un gesto si esauriva, rigenerandosi prontamente in quello successivo.
Negli anni della maturità e poi della senilità, le lunghe e vorticose pennellate, impresse come energiche
sciabolate di colore, rimodellavano in senso dinamico i corpi delle sue “divine” creature e il suo stile, a
un tempo classico e moderno, costituiva la miglior risposta alle vocazioni estetiste e progressiste
manifestate dagli alti ceti sociali.
Attraverso 80 opere, la mostra si articola in sei sezioni tematiche – Il viaggio da Ferrara a Firenze,
verso Parigi; La Maison Goupil; La fine del rapporto con Berthe, Gabrielle e i caffè chantant; Il “soffio
vitale” nel ritratto ambientato; Il gusto fin de siècle; Le nouveau siècle – che seguono gli anni di attività di
Boldini e ne narrano la completa parabola espressiva.

FONTE. Testo e foto, inseriti al solo scopo di presentare l’evento: press kit Ufficio stampa Fondazione Asti Musei