IBRIDAZIONE (NON SOLO) DEGLI STILI: L’ABAZIA DI VIBOLDONE

La volta illuminata, part., fonte: Wikipedia

VIBOLDONE. La tematica di ibridazione degli stili, lungi dall’essere solo una questione di carattere estetico e, per quanto riguarda l’architettura, strutturale, coinvolge una serie di questioni legate ai molteplici significati che si generano dai singoli componenti di un’intera ideazione artistica, legate dalla ricerca di una semantica interna degli stessi e che toccano, con importanza sempre crescente, la questione dell’influenza della cronologia “narrata” di tale fenomeno.

Intorno a ogni cambio di secolo, sembra che le certezze del secolo uscente tendano a vacillare , ma che contemporaneamente, le aspettative generate dal secolo entrante, al di là di facili entusiasmi, non godano di certezze ne delle garanzie di realizzazione.

Per questo motivo, sulla scorta dei precedenti articoli, realizzati per mano di chi scrive, incentrati sui caratteri diversi della trattazione delle immagini, dell’architettura, degli aspetti sociologici e religiosi legati alle manifestazioni artistiche, in particolare fra XII e XIV secolo, ( ma per molti aspetti e modalità di attuazione, estendibile anche a tempi più recenti), il sito della abazia di Viboldone (MI) si presta in modo molto esaustivo a informare e riassumere molti di questi aspetti.

Grazie alle sue contenute dimensioni, il sito monastico consente di “abbracciare” con uno sguardo unico l’intero complesso e coglierne simultaneamente tutti i caratteri ivi compresi: caratteri di armonia e proporzione, di ricerca della ricettività da parte dell’avventore al luogo, dei molteplici significati che si ingenerano dalla commistione e dialogo armonico di architettura, natura circostante, pittura di cui di seguito, si propone una lettura per “reti di significati”.

L’abazia fondata nel 1176, secondo i caratteri della architettura cistercense che assimilano questo luogo ai siti di Chiaravalle milanese, Monluè, Morimondo (oggetto del prossimo articolo).

Dunque aspetti di austerità e di caratteri della più genuina tradizione romanico-padana, aperta alle imminenti contaminazioni gotiche.

L’intera struttura venne completata nel 1348 dagli Umiliati, un ordine religioso formato da monaci, monache e laici che, attorno all’attuale chiesa, conducevano vita di preghiera e di lavoro, in particolare fabbricando panni di lana e coltivando i campi con sistemi di lavorazione assolutamente innovativi, probabilmente grazie ai contatti con la realtà monastica francese.

Gli umiliati dotarono la chiesa di tutto l’apparato decorativo attualmente visibile, di chiaro impianto e scuola giottesca, che mostra anche aggiornamenti di uno stile “gentile” che fa pensare a influssi o contaminazioni da rapporti francesi.

Entrando nella chiesa si scorgono tre campate e tre lunette, sulle quali capeggiano affreschi con tematiche mariane e cristologiche, tutte impostate al modo della orientazione e polarizzazione di un preciso percorso tematico, secondo quanto descritto nei precedenti art.

Il decoro complessivo delle tre arcate/vele è realizzato a distanza di circa venti anni l’uno dall’altro, per un impegno complessivo di circa 70 anni, coinvolgendo nell’impresa costoloni, imposte e anche le volte ogivali.

Nell’insieme il progetto decorativo sembra alludere a un modello iniziale unitario, per tematica e coerenza di sviluppo, eseguito però in un arco di tempo molto lungo.

Il completamento di tutta la decorazione, non solo include le volte e dei timpani, ma consente di evidenziare, pur nella unità del progetto iniziale quanto a tematiche, una variazione nello stile e nelle modalità di messa in opera.

Certamente fra i primi affreschi della vita est e quelli della vita ovest intercorrono aggiornamenti stilistici e un cambio di sensibilità, forse non esente da motivazioni anche teologiche scaturite dal vivace dibattito conciliare di quegli anni.

Il committente delle decorazioni è Guglielmo D’Avilla, priore dell’abazia di cui si conoscono poche notizie, e che chiama nel 1348 numerosi maestri toscani: questo è l’anno della peste nera.

Nella prima campata che si incontra entrando in chiesa, realizzata per ultima ( secondo il modo di procedere medievale dall’abside alla contro facciata) verso il 1368 circa, le figure sono più affollate, i riquadri sono più piccoli, rispetto alle campate affrescate negli anni precedenti, marcandone lo stile e la scansione temporale in modo evidente.

In questa prima campata, si volesse rapportare gli affreschi alle modalità di illustrazioni di un manoscritto miniato, si troverebbe immediata corrispondenza.

Sono gli anni ’70 del trecento e i modelli delle miniature, in questo frangente, fanno da esempio agli affreschi e talvolta, quando gli affrescanti si distinguono per inventiva e originalità esecutiva, accade anche il contrario.

L’architettura austera che reca la commistione di romanico e gotico, visibile nella coesistenza di elementi quali le volte ogivali e gli archi a sesto acuto, enfatizzati dalla presenza della chiave di volta ipertrofica.

Tutto è incredibilmente ingentilito dalla dolcezza espressiva, cromatica, decorativa che sembra vestire, letteralmente, i costoloni delle volte, le ghiere, le superfici curve e lisce interne, come i capitelli a cubo scantonato in luogo di quelli con il consueto bestiario a rilievo.

Le modanature bianche all’esterno, che attuano con un gioco di alternanza con il mattone rosso, creano un vivace equilibrio dinamico di richiami con il decoro d”interno.

Questo, in modo semplificato, mima o si accorda a quanto accade con una “gentilezza” goticheggiante sopraffina per la vista, e una carezza per l’anima, della visione che si attua in presenza dell’interno.

Unisce queste due arti, ossia quella edificatoria e quella decorativa, un segno minuto, un senso di spazio e tempo meno profondo.

Ciò appare evidente sulla prima campata rispetto agli affreschi sulla seconda e ancor di piu rispetto alla terza, un gusto straordinario nella narrazione.

Virtuosamente l’abazia tiene insieme tramite l’architettura, un’austerità che è tutta romanica, e una dolcezza che deriva dalle avvolgenti movenze delle suggestioni gotiche.

In questi spazi, gli statuti degli enunciati teorici e religiosi, trapassano dallo scritto filosofico e teologico a quello di una inscrizione in un registro figurativo, sublimando l’una forma e l’altra e facendone punto poietico di significati e di espressività densamente convergenti in un fulcro di senso al più alto livello.

Gli affreschi però, non hanno avuto una vicenda lineare: dovettero essere oggetto di una campagna di restauro molto ampia e paziente a causa dello strato di bianco intonaco che gli olivetani, sopraggiunti agli umiliati soppressi dal card. Borromeo, applicarono alla struttura per cancellare ogni traccia del precedente ordine.

Dunque l’intero complesso alla luce di questi dati, appare oggi come un autentico miracolo di recupero filologico e conservativo.

La facciata del complesso, si presenta all’esterno a vela con copertura a capanna, caratteristica per le bifore aperte sul cielo, con tessitura muraria in mattoni a vista e percorsa da due semi colonne che la tripartiscono, con decorazioni e modanature di pietra bianca.

Il portale, negli stipiti è in marmo bianco e nella lunetta che ne sovrasta l’architrave si trovano sculture marmoree con il soggetto iconografico dedicatario della Madonna con bambino fra i santi Ambrogio e Giovanni da Meda, riferite allo scultore anonimo noto con il nome di Maestro delle sculture di Viboldone.

Ai lati, due nicchie gotiche racchiudono le statue dei santi Pietro e Paolo. Il portone della chiesa è di legno scuro, decorato con grandi costoloni lignei e grossi chiodi. Si tratta di un apporto sostanziale sia documentaristico che di valore estetico e artigianale, e risale all’epoca della costruzione della facciata.

L’impianto della chiesa è a sala rettangolare, a tre navate di cinque campate ciascuna, inquadrate in archi trasversali a sesto acuto. Prima campata in stile romanico e le successive, realizzate nel corso del Duecento, in stile gotico con colonne in cotto che sorreggono alte volte a crociera.

Proprio nella scansione delle tre volte e nel loro diverso stile si ritrova il virtuosistico condensato di ibridazione degli stili e dei significati .La chiave di volta, al centro delle crociere, è circondata da spicchi racchiusi in un cerchio, con i colori dell’arcobaleno, ognuna in stile differente..

Le colonne che scandiscono le navate sono in laterizio, con capitelli dello stesso materiale a cubo scantonato

Il campanile si presenta massiccio, a cono cestile e sembra avere modelli cluniacensi come riferimento. Ma si innalza sopra il tiburio della chiesa, secondo la tradizione cisterciense, e questo leva ogni dubbio sui motivi dei costruttori.

Evidente è il richiamo all’impianto cromatico e decorativo della facciata, con cornici in cotto e archetti alla base delle bifore e delle trifore, con funzione di alleggerimento della struttura e sormontate da oculi. La sobrietà degli elementi architettonici all’interno della chiesa la farebbe dire quasi spoglia, se non fosse invece presente la meravigliosa decorazione pittorica che la ricopre per buona parte, conferendo a questo ambiente la densità di atmosfera e significati che, per le modalità della loro fruizione, sarebbe quasi impossibile vivere e sperimentare altrove.

Tuttavia, l’indagine su quali siano i caratteri e la testimonianza artistica di questo luogo, si rende necessario esercitare una particolare attenzione al contesto in cui nasce tutto questo.

Il perfetto rapporto con la natura circostante della abazia è la testimonianza di perfetta simbiosi fra cultura e natura. Tra intelletto e armonia del creato, del colore, della luce e delle acque, cosi abbondanti nella circostanti campagne.

E questa “forma mentis” che abbraccia tutto ciò che rientra nel vivere comune e al tempo stesso irripetibile, è anche un segno tangibile lasciato dalla presenza di Petrarca a Milano, con una impronta che gli esegeti amano chiamare “protoumanesimo”, ossia una linea e un contesto culturale di anticipazione dell’umanesimo del quattrocento.[…]

LUCA NAVA.