NICOLA DI LIBERATORE, L’ALUNNO MAI DIVENTATO MAESTRO

ll polittico a cinque scomparti in cornice architettonica , fonte immagine: Wikipedia commons

MILANO. Premesso che ogni cosa è sempre migliorabile, anche nel caso si voglia porre la questione valutativa e comparativa in termini di virtuosismo tecnico messo al servizio della speculazione filosofico-religiosa, resta indiscutibilmente il primo, per delicatezza d’animo, per finezza esecutiva, per capacità di narrare il sogno.

Nicola di Liberatore, detto “‘Alunno”, ad evidenza si pone come il pittore, anzi di più, l’alchimista, del passaggio d’epoca che connette due visioni del mondo, due modi di stare al mondo: quella medievale giunta al suo autunno e quella rinascimentale agli albori.

Una di quelle personalità sfuggenti, all’apparenza semplici e di basso profilo, ma dall’ appartenenza a uno status, soprattutto interiore, inusitati e per di più sconosciuta ai contemporanei. Anche a quelli dal nome altisonante.

Umbro, nativo di Foligno, e con un apprendistato in una bottega proprio all’ombra della cattedrale della città dei tessuti, è forse più grande di tutti quelli che dalla terra umbra, Signorelli compreso, hanno tratto gli umori della mediazione culturale fra i centri a nord e a sud della cittadina umbra.

Tutto questo preservando lo spirito arcano del non detto, delle suggestioni, dei dogmi e dei misteri insondabili dell’esistenza su cui la scolastica medievale aveva, con Duns Scoto e Maister Heckart, appena concluso di meditare.

Nato intorno al 1430, si configura come uno degli emblemi del rinascimento, eppure il suo nome non raggiunge notorietà come quella di Crivelli o Mantegna o il già citato Signorelli, o dei vessilliferi della scuola squarcionesca, nonché di tutti suoi contemporanei.

Qui si sceglie presentarlo, con una delle opere piu indicative e suggestive, in grado di evidenziare la capacità di indagine psicologica, non scevra da una ricercatezza di preziosità tecnica e di materiali. Il polittico di S.Severino, questo è il nome con cui lo si trova catalogato, che fu realizzato intorno al 1458/60 e che si propone in una stupenda cornice architettonica, ripartita in cinque spazi, ( sulle cornici architettoniche esiste gia un precedente articolo su questa pagina che, in questo caso è utile consultare)fra cui quello centrale, con la maternità’, ancora in stile tardogotico.

Presenziano tutti i preziosismi tecnici tipici delle opere a fondo oro, comuni per un certo senso anche al modo degli allievi padovani della bottega dello Squarcione.

Ma nelle composizioni dell’alunno, c’è una pacificazione sconosciuta al più noto Crivelli, che lo avvicina invece dipiu a Marco Zoppo, che come lui si muove verso stilemi che appartengono alla area semantica della contemplazione.

Entrambi attivi nelle zone limitrofe dell’Emilia, e sicuramente impegnati in un dialogo a distanza sugli stessi temi, ma con linguaggi in via di mutamento.

E sta proprio nell’attenzione al cambiamento, su cui “l’alunno” si sofferma, piuttosto che la corsa verso nuove forme espressive, che lo rende così spiccatamente sensibile al mutare del clima culturale. È piuttosto una riflessione sull’epoca che stava per lui solo cambiando,( per altri finendo) che fa” dell’alunno” un outsider.

La preziosità dei decori, rimanda a Gentile da Fabriano, ma la minuzia nel restituire ogni ruga di espressione in ciascun volto ed in certi casi anche cicatrici, sono una dichiarazione di intenti: un attaccamento alla dimensione corporale e fisica che é un modo complementare di alludere alla realtà interiore e che trascende la pura circostanziatila’.

Egli crea una tensione ed un dialogo silenzioso e latente fra le figure presenti che culmina nella conversazione sacra della maternità: ecco dunque il piccolo Gesù che sembra giocare con il seno della madre, di cui, come dice la preghiera mariana, ne é il “benedetto frutto”.

Un dialogo poi fra i santi che é silenzioso e tutto interiore, intriso di una luce calda e densa, quasi miele, che manca in molti altri artisti coevi: qui perfino i gesti sono lenti e solenni, il tempo é sospeso, tutto é intimo dialogo e contemplazione, non è più terra, già paradiso: che si tratti di una dimensione divina o dialogo fra innamorati, poco cambia: il clima è quello solenne, estatico, inequivocabile.

Forse per frequentazioni di luoghi sbagliati e decentrati rispetto ai grandi centri e grandi commissioni, e quindi per mancati contatti, Niccolò non riuscirà mai ad evadere da una dimensione provinciale di committenze, anche se la sua arte va ben al di là di Umbria e Marche: un innovatore anche per certi aspetti tecnici: fu ad esempio uno dei primi a sperimentare tecniche miste a olio e tempera grassa, eppure, prese l’appellativo in giovane età di “Alunno.”

E alunno, come lo ricordiamo, egli per tutta una vita rimane.

Oggi, nello splendore ritrovato dopo un lungo restauro ai danni causati dal terremoto e l’alluvione che hanno investito le sue terre d’origine nel recente passato, è possibile riconoscergli ora i giusti meriti, degni di un maestro.

LUCA NAVA