OLTRE CARAVAGGIO. UN NUOVO RACCONTO DELLA PITTURA A NAPOLI AL MUSEO DI CAPODIMONTE

Caravaggio (Michelangelo Merisi), Flagellazione di Cristo, 1607, olio su tavola, Napoli, chiesa di San Domenico Maggiore, proprietà Ministero dell’Interno, Fondo Edifici di Culto (in temporanea consegna dal 1972)

NAPOLI. La mostra “Oltre Caravaggio. Un nuovo racconto della pittura a Napoli” (fino al
7 gennaio 2023), a cura di Stefano Causa, docente di Storia dell’arte moderna e contemporanea
presso l’Università degli studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa” e Patrizia Piscitello, responsabile
Ufficio mostre e prestiti del Museo e Real Bosco di Capodimonte si sviluppa nelle 24 sale del secondo
piano del Museo e Real Bosco di Capodimonte, diretto da Sylvain Bellenger. In esposizione 200
opere provenienti tutte dalle collezioni permanenti del museo, senza prestiti esterni. Una mostra,
realizzata in collaborazione con le associazioni Amici di Capodimonte Ets e American Friends of
Capodimonte, che si propone di rilanciare il dibattito presentando un’altra lettura del ‘600
napoletano, diventato per amatori e storici il secolo di Caravaggio.
Il ’600 napoletano è una ‘invenzione’ recente. È stato riscoperto e definito meno di un secolo fa dallo
storico d’arte Roberto Longhi (1890-1970). Secondo lo studioso, il naturalismo di Caravaggio
sarebbe la spina dorsale dell’arte napoletana. Gli studi seicenteschi sul Sud derivano, quasi senza
eccezione, dalle sue proposte formulate in una serie di saggi che sono stati pubblicati essenzialmente
nel secondo decennio del secolo scorso. Dall’inaugurazione della Pinacoteca di Capodimonte nel
1957 fino ad ora, l’esposizione dei dipinti del ’600 napoletano è stata in gran parte il risultato di
quest’analisi. La realtà è più complessa e i curatori della mostra, Stefano Causa e Patrizia Piscitello,
sulla base degli studi degli ultimi decenni, propongono di riconsiderare lo schema di Longhi, ormai
ampiamente storicizzato, e di ripensare l’intera articolazione di un secolo che non fu solo quello di
Caravaggio, ma soprattutto quello di Jusepe de Ribera, uno spagnolo arrivato a Napoli nel 1616, sei
anni dopo la morte di Caravaggio. La mostra “Oltre Caravaggio” porta Ribera, rappresentato nelle
collezioni di Capodimonte da opere sacre, mitologiche e nature morte, al centro della scena artistica
napoletana.
Presentare la civiltà artistica napoletana vuol dire mettere in giusto risalto gli apporti esterni e gli
scambi con gli altri centri, l’invio da fuori di opere e progetti, la residenza in città degli artisti
‘forestieri’. Napoli, infatti, era ed è una grande città portuale, crocevia della vita e della cultura
italiana. Nel XVII secolo era diventata una delle megalopoli più popolose del mondo esercitando una
profonda influenza sulla cultura europea; la sua storia si presenta come una ricca stratigrafia, fatta di
diverse civiltà, popoli e espressioni artistiche che hanno lasciato tracce nel patrimonio artistico e
monumentale. Per secoli ha subito attacchi, invasioni e distruzioni, facendo fronte a numerose
catastrofi naturali: eruzioni vulcaniche, terremoti, maremoti e pestilenze.
In quest’ottica si può spiegare il ruolo centrale che hanno in questa rassegna, dedicata al XVII e XVIII
secolo, lombardi come Caravaggio (1571-1610), emiliani come Giovanni Lanfranco (1582-1647),
Domenichino (1581-1641) e Guido Reni (1575-1642), lo spagnolo (ma napoletano d’adozione)
Jusepe de Ribera (1591-1652), i francesi Simon Vouet (1590-1649) e Pierre-Jacques Volaire
(1729-1799), il bergamasco Cosimo Fanzago (1591-1678), i romani Artemisia Gentileschi (1593-
1653) e Gregorio Guglielmi (1714-1773), il belga François Duquesnoy (1597-1643), che aveva
collaborato all’altare per il cardinale Ascanio Filomarino (1583-1666) nella chiesa dei Santi Apostoli,
imponente macchina realizzata tra il 1638 e il 1647 dall’architetto Francesco Borromini (1599-1667),
tra i principali esponenti del barocco romano. Gli artisti napoletani traevano ispirazione da questi
apporti, rielaborando in maniera del tutto personale iconografie, tagli compositivi e utilizzo delle luci,
esportando il loro linguaggio in Italia e in Europa. Un esempio tra tutti è Luca Giordano (1634-
1705), che, campione della pittura barocca napoletana, viene chiamato a Venezia (1665, 1668), a
Firenze (1682-83, 1685) e in Spagna (1692-1702), lasciando traccia sui pittori locali.

FONTE. Testo e foto, inseriti al solo scopo di presentare l’evento: Area stampa Museo Capodimonte