TRITTICO DELLE COSE ULTIME. GRÜNEWALD, RAFFAELLO, HOLBE NEL LIBRO DI GUALDRINI

La copertina del libro

LUGO. Autore di un’indagine amplissima sotto il profilo iconografico e simbolico, ma anche per ciò che riguarda l’inesauribile “storia degli effetti” generata dai tre dipinti lungo i secoli nei diversi ambiti della cultura umana, Giorgio Gualdrini, architetto faentino a cui si devono importanti restauri del patrimonio culturale e varie pubblicazioni di carattere artistico, pubblicato il volume “Trittico delle cose ultime. Grünewald, Raffaello, Holbein”, edito da Pazzini, disponibile cliccando qui.

Ma sono centinaia le opere menzionate in quest’opera, frutto di oltre un decennio di ricerca.  .
Tappe diverse di un intenso e affascinante percorso interpretativo, scandito da incalzanti domande di senso, dai punti di domanda che l’arte e la letteratura sanno porre intorno al fondamentale, inscindibile rapporto tra bellezza e sofferenza.

Gualdrini, perché per comporre il suo ideale “Trittico”, ha scelto le opere di Grünewald, Hans Holbein il giovane e Raffaello?

«La “Crocifissione” di Grünewald a Colmar, il “Cristo nella tomba” di Holbein a Basilea e la “Madonna Sistina” di Raffaello a Dresda sono opere molto diverse tra loro ma, a mio avviso, un’inquietudine le accomuna. I primi due dipinti, in base ai criteri della bellezza apollinea, possono essere visti come un’esplicita manifestazione dell’orrore: un uomo aggredito dalla peste e crocifisso, il primo; un cadavere martoriato e grigiastro, il secondo. Sono opere che turbarono scrittori di straordinaria sensibilità come Canetti e Dostoevskij».

E Raffaello?

«Se si guarda con attenzione, anche un dipinto esteticamente bellissimo come la sua “Madonna Sistina” rivela un’apprensione, un turbamento, manifestato sia nel volto di Maria che in quello del Bambino. Più di un secolo prima di Vasilij Grossman, lo aveva capito bene il giovane Schopenhauer che nel 1815 le aveva dedicato una struggente lirica il cui incipit recita: «Ella lo porge al mondo: ed egli lo guarda atterrito / nella caotica confusione dei suoi orrori».

Come può il mondo essere salvato dalla bellezza, come dice il principe Myškin nel celebre passo da lei citato de “L’idiota” di Dostoevskji, quando il mondo è dominato dal buio e dalla tenebra, a partire dalla guerra?

«Questa celeberrima frase di Dostoevskij forse può essere pienamente compresa solo all’interno della teologia dell’icona orientale dove, all’occhio di un credente, verità e bellezza si fondono e, fondendosi, vincono il male. Non dimentico, peraltro, la metafora del gelsomino che Etty Hillesum, giovane ebrea olandese destinata a morire ad Auschwitz nel novembre del 1943, aveva visto crescere, come un tocco di luce e bellezza, tra le mura dei vicini e il tetto piatto, scuro e fangoso del garage. Quel fiore, come la vita di tante persone in quegli anni terribili, venne poi sciupato dalla pioggia e dalla tempesta ma, scrisse Etty nel suo diario: «da qualche parte dentro di me esso continua a fiorire indisturbato, esuberante e tenero come sempre, espande il suo profumo tutt’intorno alla tua casa, mio Dio».

rgio Gualdrini, è un architetto italiano. Dopo gli studi liceali, si laurea in Architettura nel 1977 all’Università degli Studi di Firenze presso la quale, nell’anno seguente, consegue l’abilitazione professionale. Dal 1978 esercita la libera professione come socio dello studio “Cooprogetto” a Faenza, nel quale si occupa principalmente di restauro e recupero nei centri storici, ma anche di interventi di edilizia residenziale e terziaria. Nel corso della sua carriera, collabora con vari professionisti tra i quali Franco Bertoni, Ebe Montanari, Claudio Obrizzi e Marco Peroni, riceve segnalazioni in concorsi internazionali di architettura, espone alla Triennale di Milano, tiene lezioni e conferenze in alcune Università Italiane ed è autore di numerose pubblicazioni, prevalentemente su temi di architettura sacra, ma affronta anche i temi della storia urbana, del paesaggio rurale e del rapporto fra i bambini e la città pubblicando “Appunti per una urbanistica raccontata ai ragazzi” (1990), con prefazione di Giovanni Michelucci. Alcune sue opere e scritti sono stati pubblicati su numerose riviste specializzate, fra le quali “C e A partners”, Almanacco di “Casabella”, “Parametro”, “La nuova città”, “Recuperare l’edilizia”, “Chiesa Oggi” e la rivista Internazionale di storia dell’arte e di arti liturgiche “Arte Cristiana”. Nel 1990 si aggiudica il primo premio al “Concorso Nazionale per il riassetto del presbiterio della Cattedrale di Faenza (di Giuliano da Maiano) e nel 2013 redige il progetto esecutivo dei nuovi arredi liturgici (altare, ambone, cattedra episcopale) della stessa cattedrale (terminato nel 2014). Nel 2000 progetta il restauro e l’allestimento del Museo Diocesano nel Palazzo Episcopale di Faenza-Modigliana, che nel 2011 ha avuto un primo parziale compimento al quale ha fatto seguito la pubblicazione del volume “Museo, arte sacra, città” (2011). Affianca all’attività professionale una personale ricerca teorica nel campo della filosofia e della teologia. Tra le altre sue opere a Faenza (RA), realizza i 27 alloggi 

MARCELLO TOSI