HA SENSO FARE MOSTRE D’ARTE SE NON SI VENDE?

Foto di Ron Porter da Pixabay 

La mia cara amica Carmen, che dipinge con passione gli scorci della sua splendida Sicilia, mi ha posto una domanda che spesso mi viene rivolta: “ha senso fare mostre d’arte se non si vende?”.

È una domanda legittima. Specialmente se non si tratta di esposizioni museali, in cui le opere non sono proposte, logicamente, per eventuali acquirenti.

Io, che personalmente non mi occupo di contrattare opere d’arte (lasciando il compito ai professionisti del settore) ma di studiarle, comprendo a pieno questo quesito.

Che senso ha dipingere se poi tutte le opere rimangono invendute, appese in casa o stivate da qualche parte?

È pur vero che esistono artisti – e non sono pochi – che non ambiscono a cedere i propri pezzi. Anzi, qualcuno se ne guarda bene dal farlo, rifiutando qualsiasi proposta. “Piuttosto, ogni tanto li regalo”, mi ha detto una volta un pittore davanti ai suoi quadri.

Altri, come il maestro Lodovico Girardelli, che ci ha lasciato qualche anno fa ma il cui ricordo è indelebile, addirittura si dispiaceva quando un gallerista lo chiamava dicendogli che c’erano persone interessate a comprare i suoi quadri. Addirittura, sperava che i potenziali acquirenti ci ripensassero.

Ho avuto anche la sventura di conoscere artisti che, per non avere venduto, hanno tolto il saluto a chi ha ospitato la loro mostra. E pure a me, che non c’entravo nulla. “Voi critici, dicono, dovete farci vendere”. Come se noi studiosi d’arte avessimo il potere di persuadere qualcuno a comprare un quadro o una scultura. Il nostro compito, come detto, è un altro.

E non di meno ci sono quegli artisti che, durante lo svolgimento di una mostra, vivono un’attesa ansiogena, sperando che prima o poi qualcuno compri. Molti non dormono di notte, hanno persino incubi ricorrenti.

Addirittura ricordo un pittore che aveva letteralmente campeggiato, con tenda e zaino, nei pressi dello spazio espositivo nella speranza che qualcuno, prima o poi, aprisse il portafogli per accaparrarsi una sua tela bussando, caso mai, al suo “rifugio”.

Sono tutti atteggiamenti legittimi, ci mancherebbe. Come rimangono legittime, per la stragrande maggioranza degli artisti che ambiscono a vendere, i dubbi contenuti nella domanda di fondo da cui siamo partiti.

Allora, “ha senso fare mostre d’arte se non si vende?”. Secondo me sì. E per diverse ragioni.

Prima di tutto perché la stessa parola “mostra” ha in sé la risposta. “Mostrare” significa “far vedere” qualcosa a qualcuno. E questo qualcuno, nel nostro caso, è il pubblico. Quindi, in una logica commerciale, chi potrebbe comprare. Non mostrando i propri lavori diventa pressoché impossibile. Ovviamente bisogna scegliere come, dove e quando mostrare i propri lavori. Che senso ha, infatti, presentarli in una location che, seppure bella, non è frequentata?

Un altro aspetto, non meno importante, deriva dal fatto che fare mostre significa “confrontarsi” con il pubblico e con altri artisti. Senza il confronto non si comprendono tante cose, come il gradimento dei propri lavori, come la possibilità di migliorarsi, di accettare anche critiche costruttive. Dal confronto sono nati gruppi di artisti che hanno segnato la storia dell’arte dando vita, non di rado, a veri e propri “movimenti”.

Non di meno se è vero che si deve (o dovrebbe) “fare arte” prima di tutto per se stessi, è anche vero che condividere con gli altri i risultati della propria ricerca creativa diventa molto stimolante e coinvolgente: condividere arte in una mostra o in un evento o in una performance diventa adrenalinico.

Insomma, l’importante, a mio parere, è trovare piacere in ciò che si fa. Anche nell’esporre i propri lavori, di qualsiasi tipo e in qualsiasi forma. Anche se non si vende.

AUTORE: SIMONE FAPPANNI © RIPRODUZIONE DEL TESTO RISERVATA