IL FALSO NELL’ARTE: ALCEO DOSSENA E LA SCULTURA ITALIANA DEL RINASCIMENTO AL MART

Alceo Dossena, Catharina de Sabello, anni Venti, Fondazione Cavallini Sgarbi, fonte: press kit MART

ROVERETO (TN). La mostra “Il falso nell’arte: Alceo Dossena e la scultura italiana del Rinascimento” in corso presso il Mart di Rovereto è nata da un’idea del critico d’arte Vittorio Sgarbi, raccolta e sviluppata dai curatori Dario Del Bufalo e Marco Horak, che da un lato stimola gli studiosi e i fruitori a riflettere sulla valenza della produzione di copie e di falsi di celebri opere pittoriche e scultoree nell’ambito della storia dell’arte a partire dall’antichità ai giorni nostri, dall’altro a riscoprire la figura di un “falsario” di rango quale è stato nel secolo scorso Alceo Dossena, nato a Cremona nel 1878 e morto, in precarie condizioni economiche, a Roma nel 1937.

Dossena ha lasciato ai posteri una fervida e ricca produzione di opere che si ispirano a celebri sculture provenienti dall’antichità greco-romana ed etrusca, dal Medioevo  e per la maggior parte dalla luminosa stagione del Rinascimento italiano con qualche sconfinamento  nel Neoclassicismo di Canova (l’erma di Maria Luigia  d’Austria, duchessa di Parma) e nella modernità novecentesca.

Ancora in giovane età fu apprendista presso la bottega di un marmista cremonese, essendo stato espulso dalla Scuola d’arte avendo spacciato per antica una scultura da lui realizzata- si trattava di una piccola Venere precedentemente interrata- ingannando da vero “falsario in erba” un suo insegnante.

Nel 1908 si trasferì a Parma dove iniziò a collaborare nella bottega dello scalpellino e abile copista di marmi antichi Umberto Rossi, un sodalizio intenso che portò alla creazione della ditta Dossena e Rossi; a quell’epoca il Nostro scolpì parecchie opere conformandosi allo stile dello scultore Benedetto Antelami che contribuì in anticipo su Nicola Pisano alla diffusione della cultura gotica in Italia. Durante gli anni della Prima Guerra Mondiale decisiva fu la conoscenza a Roma degli antiquari Alfredo Fasoli e Alfredo Pallesi che gli commissionarono molte sculture in stile medioevale spacciandole per ritrovamenti di una fantomatica cattedrale.

Oltre a quest’ultimo stile si cimentò anche con quello rinascimentale cogliendone la centralità e gli aspetti sublimi. Molte sculture furono acquisite da collezionisti italiani (si veda la Madonna con il bambino benedicente, 1923 circa, coll. Chigi Saraceni Monte dei Paschi di Siena) e americani, finché nel 1926 iniziò a circolare la voce dell’esistenza di un’artista italiano che produceva falsi riconducibili alla statuaria greca, etrusca, gotica e rinascimentale.

La cosa si palesò in tutta la sua portata scandalistica nel 1928 quando Dossena decise di troncare bruscamente ogni rapporto con gli antiquari. In quel periodo l’artista ricevette la visita provvidenziale, nel suo atelier romano di via Margutta, dello storico dell’arte e consigliere di molti musei americani H. W. Parsons, cui mostrò la documentazione fotografica della sua vasta produzione.

Da quell’incontro Dossena iniziò a firmare e a datare le sue creazioni e la fama attorno alla sua figura che fu breve ma intensa, lo consacrò come uno dei più grandi “virtuosi della scultura”. L’artista seppe infatti lavorare magistralmente tutti i materiali (legno, creta, marmo, gesso) sulla scorta dell’imitazione e assimilazione degli stili degli antichi Maestri quali Benedetto Antelami, Giovanni, Nicola e Nino Pisano, Pisanello, Donatello, Andrea del Verrocchio, Desiderio da Settignano, Antonio del Pollaiolo, Francesco Laurana, Mino da Fiesole, Lorenzo di Pietro detto il Vecchietta, Niccolò dell’Arca, Guido Mazzoni Francesco di Giorgio Martini, i Dalla Robbia, Antonio Rossellino, Giovanni Francesco Rustici, Leonardo, Michelangelo, Tullio Lombardo, l’Amadeo, Cristoforo Solari, un affascinante iter formativo, il suo, mai disgiunto dalla grande abilità nel saper disegnare, condizione imprescindibile per un artista ribadita più volte da Filippo Baldinucci nel Vocabolario toscano dell’arte del disegno (1691) e da Francesco Milizia nel suo Dizionario delle Belle Arti del Disegno (1797).

Le opere realizzate da Dossena si consegnano, nella cornice dell’importante mostra di Rovereto a lui dedicata, con tutto il loro pathos espressivo, frutto di una rielaborazione dei motivi e degli stilemi così intensamente interiorizzati negli anni del suo profondo e intenso studio dei capolavori scultorei dell’Occidente, in particolare di quelli rinascimentali italiani, giustificando, per un certo verso, data la pregevole fattura e la perfezione esecutiva, l’inganno che le fa apparire come copie autentiche magistralmente antichizzate (“in patina del tempo”) dallo stesso Dossena con trattamenti particolari frutto di un’assidua e personale sperimentazione.

Madonne con il bambino che ricordano il celebre “stiacciato” donatelliano, busti sacri e profani in marmo e in terracotta, angeli portatorce, statue di santi e sante, ceramiche popolano le sale espositive immergendo il visitatore nel mondo sublime dell’arte scultorea del Rinascimento italiano così fortemente rivalutata tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento dall’aristocrazia europea e dai magnati americani sulla scia del gusto simbolista e decadente avviato dai Preraffaelliti. La richiesta di opere pittoriche e scultoree medievali e rinascimentali determinerà infatti l’ingresso nel mercato antiquario di numerosi falsi usciti dalle mani di valenti pittori (Giovanni Bastianini, Gildo Pedrazzoni, allievo di Dossena, Icilio Federico Joni) e artigiani, eredi delle storiche botteghe. Anche Dossena si inserì, a pieno diritto, in questo clima, assecondando gli antiquari e i collezionisti tra cui figurava Carlo Francesco Ansaldi, acquirente munifico di opere neo-quattrocentesche comprese quelle devozionali di uso privato che caratterizzerà la produzione del Nostro prevalentemente negli anni Trenta.

Sul valore  delle copie, delle contraffazioni e dei rifacimenti di opere celebri ne parla il Vasari, il Baldinucci e anche il Milizia. Quest’ultimo  distingue puntualmente tre “sorti” di copie: a) fedeli e servili b) facili e infedeli c) fedeli e facili, ossia alla facilità della resa esecutiva si associa un’imitazione precisa dello stile dell’originale che getta nel dubbio anche i più grandi conoscitori. 

E’ quello che è accaduto, per certi versi, con le realizzazioni di Dossena, che, è bene sottolinearlo, ci giungono non come semplici copie o pedisseque imitazioni di opere celebri, bensì come “modelli originali creati ex novo”; infatti  in esse la variegata imitazione stilistica va di pari passo con la rielaborazione o meglio la rimeditazione personale di temi, stilemi, gesti e apparati decorativi mutuati dalla tradizione classico-medievale e rinascimentale. Da un certo punto di vista, Alceo Dossena può essere definito, usando un termine caro allo studioso Massimo Ferretti, come un «pasticheur», ossia come un copista/imitatore molto abile che è, nel contempo, pittore, scultore, perito d’arte nonché profondo conoscitore degli stili al massimo grado tanto da riuscire a padroneggiarli con estrema facilità come gli appartenessero quasi di diritto, avendoli profondamente interiorizzati.

Alla figura di Dossena sono state dedicate in passato alcune mostre: nel 1929 a Milano alla Galleria Micheli, a Roma nel 1931 nella storica Sala Mostre di Fiamma e una retrospettiva del 1956, sempre a Roma, negli spazi dell’Associazione della Stampa, mostre che non hanno raggiunto però il livello e il respiro, per il numero di opere esposte e per gli studi critici proposti, di quella del MART in corso a Rovereto.  L’esposizione è nata da un’idea del Presidente Vittorio Sgarbi per proseguire i sondaggi sul rapporto esistente tra antico e moderno e portare così gli addetti ai lavori e il pubblico ad interrogarsi sui significati dell’arte nella contemporaneità e sul ruolo che rivestono i musei in una società globalizzata, sempre più digitalizzata.

Il percorso della mostra si conclude con due confronti con i cosiddetti “falsi” recenti. Il primo è incentrato sull’esposizione di alcune sculture ispirate ad Amedeo Modigliani nonché delle tre teste ormai divenute celebri realizzate, a mò di scherzo, da Pietro Luridiana   con l’aiuto di alcuni amici. Sulla scia della leggenda che quelle autentiche, mai rinvenute, sarebbero state gettate nel Fosso reale di Livorno dallo stesso Modigliani, egli ne produsse di altrettante false gettandole nello stesso fossato. Una volta ripescate, furono attribuite, senza ombra di dubbio, al grande pittore morto prematuramente a Parigi nel gennaio del 1920. La scoperta della contraffazione intenzionale da parte di Luridiana e dei suoi amici suscitò molto scalpore e interesse intorno a quella singolare “performance scultorea” divenuta ormai epocale, nota come la “beffa delle false teste di Modi”.

Il secondo confronto pone al centro dell’attenzione alcune opere del pittore Lino Frongia, al quale il MART ha già dedicato di recente un’esposizione intitolata “Lino Frongia. Visioni” (22 maggio-29 agosto 2021); nel novero delle opere in mostra figuravano due copie da Raffaello – Il ritratto di Baldassarre Castiglione e L’Autoritratto – da intendersi come tappe della rilettura da parte dell’artista emiliano dei grandi autori della storia dell’arte. Frongia, in anni poco lontani, è stato accusato di aver prodotto e contribuito alla vendita di falsi acquistati da alcuni musei francesi. La causa legale è ancor oggi in corso. In proposito come non ricordare l’affaire riguardante il pittore inglese John Myatt e il mercante d’arte Drewe, entrambi condannati per la realizzazione e la vendita di opere false. Si sa che la produzione di falsi d’autori (genuine Fakes) è assai fervida e lecita se dichiarata apertamente come nel caso dell’artista concettuale americano Mike Bidlo che, pur riproducendo originali riguardanti autori contemporanei in maniera “facile e fedele”, giustifica tali realizzazioni accompagnandole con la dicitura NOT DE CHIRICO, NOT PICASSO e via di seguito. Va da sé che dove esiste un originale celebre esiste anche il suo corrispettivo in termini di contraffazione: si pensi solo ai grandi marchi.

Le copie ben eseguite, rielaborate e rimeditate rispetto all’originale hanno comunque una funzione memoriale importante e un’alta valenza culturale perché, come nel caso di Alceo Dossena, restituiscono ai fruitori un ampio bacino figurativo e icastico corredato di precisi stilemi, gesti e decorazioni. Le acquisizioni museali di copie pregevoli di grandi autori del passato o della contemporaneità pongono in essere una rete estetico-sinergetica con le realtà museali che conservano gli originali nonché con i cultori e i fruitori dell’arte.

La mostra dedicata ad Alceo Dossena è corredata di un pregevole catalogo pubblicato dall’editrice romana L’Erma di Bretschneider, cui hanno partecipato, oltre i curatori Dario Del Bufalo e Marco Horak e Vittorio Sgarbi, anche Rodolfo Bona, Roberta Ferrazza, Andrea Baldinotti, Marco Tanzi, Emanuele Pellegrini e Romolo Magnani.

Una puntata al MART è quindi d’obbligo per riscoprire e risignificare la poliedrica e seducente figura di Alceo Dossena, il geniale scultore di cui la terra cremonese deve essere orgogliosa di averne dato i natali.

Orari di visita: martedì-domenica 10.00-18.00; venerdì 10.00-21.00; lunedì chiuso.

Informazioni e prenotazioni: Numero verde 800. 397760 o info@mart.trento.it.

Prevendite online: www.mart.trento.it nella sezione “Prenotazione e acquisto biglietti” o www.biglietti.mioticket.it.

AUTORE: ERMINIO MORENGHI (riproduzione del testo riservata)

FONTE IMMAGINE: press kit Mart. L’immagine è stata inserita al solo scopo di presentare la mostra.