MODENA: IL CICLO ARTURIANO SUL PORTALE DELLA PESCHERIA DEL DUOMO

Il ciclo arturiano, part. fonte immagine Wikipedia commons

MODENA Pochi luoghi riescono a concentrare una quantità di valore estetico, stratificazione di storia e modalità espressive d’arte, corrispondenti a un’epoca e all’immaginario che la abita.

In genere se accade di trovarsi in uno di questi, si tratta di pura circostanzialita: non un Re, un Papa, non un Imperatore vollero realizzare simili luoghi, ma la assoluta arbitrarietà della storia.

A titolo esemplificativo si possono citare la città di Parma con il Duomo, il Battistero dell’Antelami nonché la lastra della deposizione niellata al suo interno.

Un complesso che è espressione e unione di scultura e oreficeria inglobati in uno spazio, quello architettonico, sublimemente retto da criteri di proporzioni armoniche¹.

Civita di Bagnoregio, culla di uno dei nuclei della civiltà dei regni romano-barbarici e luogo natale di Bonaventura, generale dell’allora neonato ordine dei frati minori e autore di una prima “vitae sancte Francisci”.²

Ferrara, città metafisica per eccellenza: alchemica e seduttivamente invitante alla scoperta della simbologia soggiacente alle moli della cattedrale che attende l’avventuriero con i leoni stilofori del protiro e, di contro, al richiamo dell’enigmatico castello di S. Giorgio.

Cremona con il suo Duomo, la più antica testimonianza su suolo padano, nel suo nucleo originario, dell’architettura romanica, nonché luogo di custodia delle piccole e preziosissime tavolette del “Maestro di S. Agata”. E poi il Torrazzo e lo spazio, che diviene metafisico, all’eco del pensiero richiamate i violini ai quali museo prospiciente piazza Marconi, è tematicamente dedicato.

In questa area padana estesa fra i capisaldi della tradizione civile, religiosa e artistica fra VII e XV secolo è annoverata anche Modena come città e come area di influenza capitale delle vicende di peso universale: ci si riferisce in particolare alla figura di Matilde di Canossa, e al suo feudo non lontano da Modena,(meno di 50 Km) ove ebbe una svolta la drammatica lotta per le investiture fra Gregorio VII ed Enrico IV.

Modena viene meno considerata come centro culturale rispetto ai luoghi sopra citati ma al pari di quelli, miniera incredibile di significative tradizioni e contenuti, soprattutto d’epoca medievale, codificati nella simbologia architettonico-scultorea del Duomo.

Del Lanfranco architetto e dell’armonia che ha il ritmata cadenza degli archi ciechi e dei loggiati che percorrono i diaframmi murari dell’edificio già si è detto altrove³, così come delle lastre della genesi di Wiligelmo; proto umanista al pari dell’Antelami a Parma nel conferire “dignitate ominis”( parafrasando Pico della Mirandola due secoli più in là), alle creazioni plastiche in pietra, evidentemente stanti a ruolo non di semplice ornamento.

A prova del fatto che nulla in questi luoghi è casuale, non solo e soltanto ciò che sembra, anche lo scrigno di significati, attraverso i quali, simbolicamente si transita, passando dalla porta della Pescaia del Duomo modenese, permette di conferire significati amplificati al gesto di accedere all’edificio da questo ingresso, situato nel lato settentrionale del complesso.

Il nome della porta, questa sezione dell’edificio è conseguente la commissione che la corporazione dei mestieri aveva sovvenzionato e che deriva dall’usanza di riferirsi a questo ingresso prospiciente una pescheria, appunto.

Illustrare l’iconografia scultorea di questi rilievi significa immergersi nei misteri ( laddove misteri è da intendersi nell’acezione greca《mistėriòn》 ossia ” cio che è custodito, e per questo nascosto, nell’interiorità, dunque nulla di essoterico.

Leggere il significato dell’iconografia significa altresì entrare nella storia della letteratura sacra( laddove per sacro, afferendo alla radice “sac” del termine, si intende separato e reso appunto sacrificato) ma anche della tradizione laica e favolistica del ciclo bretone; materia di matrice arturiana che rappresenta le radici del romanzo cavalleresco e fonda le proprie nelle tradizioni di carattere celtico. Tuttavia, molto prima di Chrétien de Troyes, è presente una testimonianza dalle origini oscure che riguarda direttamente Ginevra, Artù e i cavalieri della tavola rotonda.

Si parla, appunto della testimonianza apportata dalla “porta della pescheria” del Duomo di Modena.

Dedicato a San Geminiano, il Duomo presenta questo ingresso non grandissimo rispetto ad altri portali ma denso di simbologia.

Il suo arco raffigura cavalieri armati di lancia mentre danno l’assalto a un castello fortificato in cui è prigioniera una donna che sta con le mani giunte in segno di supplica la cui figura risulta piuttosto enfatizzata.

Da ciascun lato dell’arco giungono tre cavalieri, destinati a scontrarsi contro coloro che stanno di guardia al castello.

Tuttavia qui siamo di fronte a una prolessi: probabilmente la superiorità numerica dei cavalieri armati di lancia fa supporre l’esito dello scontro.

Sulla cornice perimetrale dell’arco sono incisi i nomi dei personaggi animati la scena.

Si incontrano da sinistra Isdernus, poi il secondo personaggio che è l’unico senza nome e di seguito il nome “Artus de Bretania” che viene posto tra questi.

Per il terzo personaggio non è facilmente intuibile chi dei due sia Artù, ma si potrebbe propendere per il terzo cavaliere, se non altro per dare una logica alla storia che segue.

Sono anche indicati i nomi dei personaggi che difendono il castello, pur con difficoltà di lettura data dalla corrosione della pietra calcarea. Burmaltus, Mardoc e Carrado, questi i tre “defensor castrum”, indicati mentre la donna è appellata Winlogee O Winnilogee, quella che la tradizione conosce come Ginevra.

Artù è l’unico cavaliere a presentarsi a viso scoperto ma non viene identificato come re.

Questo fatto induce alla teoria che lo identifica come Artorius, personaggio storicamente documentato e condottiero britanno romano di truppe celtiche contro le invasioni dei Sassoni e degli Angli durante il VI secolo d.C. ossia nell’epoca d’oro delle narrazioni di questi cicli.

Per quanto riguarda i suoi sodali, Isdernus è da identificare come Yvain, Galvagin invece come Galvano.

Quest’ultimo il migliore e più antico cavaliere della tavola rotonda e, secondo varie fonti, nipote di Artù e collegato simbolicamente alla divinità solare della mitologia celtica, perché traeva forza al sorgere del sole e saliva in cielo fino a raggiungere lo zenith.⁰¹

La donna prigioniera, Winlogee, deriva il suo nome dal gallese e significa “anima bianca” ma anche ambivalentemente “incantatrice bianca”.

È la sposa di Artù, la famosa Ginevra, la bella croce e delizia che nelle opere di Chrétien de Troyes deriva il suo nome da “fantasma bianco”.

Con buona probabilità il nome indica una fata, probabilmente “side”, soggiacente parte delle creature soprannaturali di tradizione celtica.

Nella storia bretone Ginevra viene imprigionata da Mardoc,( Meleagant), che viene difeso da un cavaliere gigante, identificato nel rilievo con l’appellativo Carados, coadiuvato in questo da un secondo gigante anonimo.

Il rapimento della fanciulla si conclude con un’altra donna, anch’essa rapita da Carados e Mardoc, che dona a Galvano una spada magica con la quale il cavaliere prescelto ucciderà Carados guadagnando cosi l’accesso alla fortezza, liberando Ginevra.

Si possono avvertire le assonanze di questa narrazione con la metaforica lotta spirituale che il fedele è chiamato a compiere per accedere al paradiso( qui Ginevra) vincendo il male rappresentato nel rilievo con forte carico simbolico numerologico⁴[…].

Questa in sintesi la storia narrata.

Ma la “porta della pescheria” non è solo interessante per il suo valore di testimonianza artistico-antropologico.

Infatti è fondamentale rilevare che la particolarità di questo ciclo risiede nel fatto che la prima testimonianza di questa vicenda delle leggende celtiche è presente in “Durmat le Galoise”⁵ cioè, un’ opera anonima del XIII secolo: significa di almeno cento anni successiva alla datazione della porta del Duomo.

Il non coincidere temporale dei due episodi artistici porta gli a chiedersi come sia possibile che questa storia sia giunta fino a Modena.

Si tratta di una vicenda nata molto lontano dal luogo padano, cento anni prima che si diffondesse a Modena e nelle corti.⁶

Certamente già prima della “porta della pescheria” erano noti una serie di opere che narravano di Artù e dei suoi cavalieri.

Queste ovviamente erano di derivazione dalla tradizione celtica, ma è solo dopo la redazione della “Historia Regum Britanniae”⁷ di Goffredo di Monmouth (1136-1138) che si inizia a creare la leggenda e poi a scrivere di re Artù, forse motivo per cui, sulla porta, egli non viene identificato come re.

In letteratura, come noto, il seguito di questo genere cavalleresco raggiungerà il successo con Chrétien de Troyes e la lunga tradizione di romanzi cavallereschi.

Ma la “porta della pescheria” non è iconograficamente un caso unico.

Fuori area padana si possono rintracciare altre testimonianze .

Bari e la Basilica di San Nicola,⁸ è il luogo ove si trova la “porta degli otto cavalieri” del tutto analoga al complesso narrativo del portale in Modena ed è dello stesso periodo; indicativamente dell’inizio del XII secolo.

Questa presenza in Salento fa balzare sulla sedia se si considera che la Basilica di San Nicola è stata indicata come possibile luogo in cui è stato nascosto il Santo Graal e che al suo interno vi siano tante incisioni ancora incomprese, che se decifrate dovrebbero condurre ad esso: questo indica la tradizione.

Sempre in Puglia un altro legame alla leggenda di Artù, risalente anch’esso al XII secolo, è il mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto.

Raffigurazioni dell’Antico Testamento e figure allegoriche quindi scene fuori contesto, si mischiano fondendo religione e culti atavici tutti da decifrare, come quella di Re Artù che si manifesta in groppa a un caprone e con in mano uno strano scettro ricurvo.

Aderendo ai più aggiornati studi⁹ a riguardo, l’ipotesi più probabile è quella che che i trovatori di terra provenzale, siano passati per la direttrice tirrenica fin a Roma per poi virare verso la costa adriatica che collegava la Francia al sud Italia, e abbiano scambiato, sul tragitto, frammenti delle loro storie con i letterati, cantastorie, e personaggi simili, di volta in volta incontrati lungo la penisola.

Parte degli esiti co fluiti in ibridazione di questi contenuti sono anche quelli che oggi è possibile leggere sulla “porta della pescheria”.

Sacro e profano si mischiavano nel religiosissimo quanto razionale medioevo, astrologia e fede ( si pensi al portale dello zodiaco di Maestro Nicolaus alla Sacra di San Michele in Val Susa), verità e leggenda convivono ancora oggi nel linguaggio simbolico di questi punti nevralgici sul ricchissimo suolo peninsulare italico: basterebbe attrezzarsi del vocabolario idoneo a decifrare, leggere e constatare che esisteva, in secoli ormai lontani e tutt’altro che oscurantista, una dimensione magica del vivere, che tramite questi scrigni d’arte, qualora venissero aperti nel loro significato autentico, per chi ancora è capace di credere nelle fiabe, è possibile riabilitare e quindi rivivere.

*Bibliografia su richiesta contattando l’Autore tramite il form del blog

LUCA NAVA