ARCHIMEDE BRESCIANI: DALL’EMOZIONE DIVISIONISTA AL RIGORE NOVECENTISTA. ANTOLOGICA AL MAM

Donna allo specchio (Lo scialle spagnolo), 1924, olio su tavola, cm 207×145. Gazoldo degli Ip- politi (MN), Museo d’Arte Moderna dell’Alto Mantovano, courtesy of G. Ferlisi

GAZOLDO DEGLI IPPOLITI (BS).Alla fervida attività pittorica di Archimede Bresciani (Redondesco, San Fermo, 1881-Milano 1939), è dedicata la mostra allestita negli spazi del MAM fino al 19 dicembre. La rassegna è curata da Gianfranco Ferlisi.

L’esposizione vuole essere un omaggio figlio della campagna mantovana, che gli diede i natali e che arricchì indubbiamente il suo immaginario incentrato sul mondo delle cascine, sul duro lavoro dei campi, sulle atmosfere stagionali della campagna, sulla pratiche devozionali di gente umile ma grande sotto il profilo umano, un’umanità fatta di comprensione, di solidarietà, di condivisione delle gioie e degli affanni terreni ormai tramontata.

Dotato di un talento artistico assai precoce, affrescò  a soli diciassette anni la facciata della chiesa parrocchiale di Gazoldo degli Ippoliti, per poi trasferirsi, un anno dopo, nella realtà fibrillante della grande città, Milano, dove frequentò, in prima battuta, il laboratorio di un ebanista, indi i corsi della Scuola Superiore d’arte applicata all’industria e la prestigiosa Accademia di Belle Arti di Brera sotto la guida del maestro Cesare Tallone (pittore e docente nonché compagno di studi di Giovanni Segantini, Gaetano Previati, dei fratelli Bazzaro, di Emilio Gola e Spartaco Vela), immergendosi nel clima artistico meneghino tra Ottocento e Novecento segnato dai riverberi della Scapigliatura, dal Neoimpressionismo, dal Naturalismo pittorico lombardo e soprattutto dal Divisionismo.

Le opere ospitate nelle sale del MAM documentano a fondo le tappe salienti dell’affascinante percorso artistico-pittorico del Bresciani, i cui esordi si collocano sotto l’egida dell’esperienza divisionista segantiniana mai dimenticata e sempre omaggiata  (vedasi il trittico del 1922 Omaggio a Segantini) a partire dal Ritratto di Lucia Nodari Pesenti (1904) e di Gentiluomo (1913), in cui la stesura filiforme dei colori propri di una tavolozza composta, segnata dal verde scuro, dal grigio, dal marrone con lumeggiature biancastre e variegate, si inserisce pienamente nel dettato poetico ed emozionale divisionista.

La Veduta di Edolo (1910), Sorge il sole (1913), Baita in montagna (1913), Alba sul Bernina (1915) celebrano la maestosità del paesaggio alpino e prealpino con una scansione essenziale e intimistica degli elementi compositivi. Del resto, il Segantini, pittore della montagna, si riverbera senz’altro in questo gruppo di opere. Ma l’Autoritratto del 1910 (pastello su carta), che vede l’artista, in una postura quasi eroica, al volante di un’auto con addosso la mantella e il classico berretto da pilota sullo sfondo di un paesaggio alpino, assume un valore storico indubitabile, essendo foriero dell’avvento di una nuova età contraddistinta dal dinamismo e dalla velocità legate alle nuove scoperte tecnologiche e comunicative che trasformeranno incisivamente la compagine economica, sociale e politica dei popoli, una stagione già preconizzata dal Manifesto  futurista del 1909.

4_Ponte Visconteo a Borghetto, 1933, olio su tela, cm 68×88. Mantova, collezione privata, courtesy of G. Ferlisi

Una serie di quadri a olio che vanno dal 1909 al 1913, tra cui Processione a San Fermo (collez. MAM), Sera d’inverno (collez. Accademia di Belle Arti di Brera), Stendendo i panni, Vecchio ponte di San Giorgio e Notturno sul ponte di San Giorgio costituiscono, per certi versi, il cuore della pittura dell’artista di Gazoldo, come amava farsi chiamare, orgoglioso delle sue radici mantovane. In particolare nell’opera Processione a San Fermo (1909), la schiera dei fedeli, composta di gente umile, in coda al sacerdote che porta la croce processionale con il capo reclinato, assume un aspetto spettrale reso efficacemente dall’uso del nero screziato dai bianchi ceri che i devoti recano in mano; è la massa anonima e rassegnata dei contadini che, segnata dalla fatica e dalle privazioni, segue il proprio vessillo, la croce, incamminandosi mesta verso la chiesa, il luogo della consolazione, della speranza, del riscatto e della redenzione.

Tematicamente Bresciani, figlio della campagna mantovana, recupera e prosegue la grande stagione del realismo francese (in particolare il Millet dell’Angelus) nonché italiano dell’Ottocento (Fattori e Segantini). Ciò si manifesta nel quadro Sera d’inverno (1910), accostabile, per certi versi, all’opera Le due madri di Segantini, anche se qui non compaiono “i figli”. La scena dipinta con tutto il trasporto emotivo padano si incentra su un’anziana vestita di nero che, nel tepore della stalla e al lume della lucerna, sta lavorando a maglia, tenendo in grembo il gomitolo di lana. Lo sfondo è occupato da una mucca ritratta dal lato posteriore, con  le mammelle in evidenza, che costituisce una presenza silente ma di rilievo. L’atmosfera serale che avvolge le due figure rende solenne la ritualità di un particolare momento della vita contadina e ne accentua la remissiva ma dignitosa accettazione. La luce della lanterna ad olio investe sia i protagonisti sia una parte dello sfondo costituito da povera paglia.

L’esperienza divisionista di Bresciani si esaurisce nel dittico celebrativo dei caduti della Grande Guerra Attendendo l’eroe del 1919-1920, in cui al soldato caduto in battaglia e ricomposto nel dolce sonno della morte, in tutta la sua naturale nudità, si sovrappone la mesta attesa della moglie seduta sulla soglia di casa con in grembo un bambino addormentato, figlio della coppia, che, pensierosa, paventa la luttuosa e grave perdita del suo sposo partito per la guerra. La ieraticità della figura muliebre adombra, per certi versi, quella che Casorati conferì alle sue opere.

Dopo la Prima Guerra Mondiale, Bresciani seppe dare una svolta alla sua attività pittorica aderendo, dal 1922 in poi, al cosiddetto “ritorno all’ordine”, noto anche col nome di Novecento italiano, voluto calorosamente dall’artista Anselmo Bucci (tra i sostenitori si annoverano Emilio Malerba, Pietro Marussig, Mario Sironi) senza però piegarsi ai diktat del Neoclassicismo di Margherita Sarfatti e della retorica del regime fascista. Soprattutto gli anni Trenta furono per Archimede Bresciani anni molto fecondi quasi avesse presagito la sua prematura scomparsa avvenuta a Milano nel luglio del 1939, non prima però di aver partecipato all’Expo di Parigi nel 1937 e, nello stesso anno della morte, alla Quadriennale di Roma.

Nelle opere di questo periodo La merenda dei contadini (1930), Fienagione a San Fermo (1933), Ponte visconteo a Borghetto (1933), Il colloquio (Corte Ca’ Lunga a San Fermo) (1933), Strada a Redondesco (1935) come del resto in quelle degli anni Venti (Al pascolo (Pontresina), Nel castagneto, La pieve di Cavriana, Castello Gonzaga nella nebbia) la tavolozza si schiarisce, la stesura del colore diventa meno sofferta, più decisa,  distesa ed autonoma.

Nell’olio su tavola intitolato Lo scialle spagnolo del 1924 l’artista raffigura una donna mentre si sta rimirando allo specchio con addosso uno scialle a motivi floreali su un campo rosso acceso che le lascia scoperte le spalle scendendo lungo l’elegante abito blu. La sensualità che l’opera promana è però contenuta dal delicato fascino e, in un certo senso, dalla fragilità della figura femminile, cui fa riferimento in maniera simbolica il vaso di vetro collocato sul cassettone.

La stessa tonalità di rosso verrà utilizzata più tardi dall’artista per dipingere i fiori di una natura morta del 1931 che trasmettono un’autentica carica passionale. Particolarmente suggestiva è poi l’opera Il cancello blu del 1934, in cui si percepiscono chiari rimandi alla pittura di Segantini e di Cézanne, cui si affiancano nel novero della ritrattistica, Ritratto di mio padre (1920), Ritratto di signora in nero (1927), Autoritratto (1931) e Ritratto della madre (Rosa Pinfari) del 1939, accomunati da uno scavo psicologico molto attento delle figure e restituito all’osservatore con un impianto cromatico sapiente ed efficace.

In una delle sale che ospita la mostra sono visibili anche alcuni documenti e lettere personali dell’artista riportati altresì nell’accurata e avvincente monografia di Gianfranco Ferlisi Archimede Bresciani da Gazoldo 1881-1939. Dall’emozione divisionista al rigore espressivo novecentista uscita quest’anno per i tipi dell’editore mantovano Il Rio (pp. 128, costo Euro 30) e disponibile presso la biglietteria del Museo. Il contributo offerto da Bresciani alla storia della pittura della prima metà del Novecento fu subito riconosciuto, a un anno dalla scomparsa, nel 1940, quando la Biennale gli dedicò un’apposita “sala omaggio” e quando, negli anni a venire, collezionisti privati e pubblici iniziarono ad acquisire le sue opere, molte delle quali sono fruibili grazie alla bella esposizione  del MAM di Gazoldo degli Ippoliti che sarà aperta fino al 19 dicembre 2021.

La presente Antologica, patrocinata dal Comune, dalla Provincia di Mantova e da diverse associazioni culturali del territorio con il contributo di Marcegaglia e della Fondazione Banca Agricola Mantovana, intende quindi omaggiare e far conoscere Archimede uomo e artista a centoquarant’anni dalla morte, un doveroso elogio tributato a un artista che ha sicuramente dato lustro alla terra mantovana, accettando il confronto e il dialogo con i grandi artisti del suo tempo.

Come scrive il sindaco di Gazoldo degli Ippoliti Nicola Leoni, «[l]a splendida cornice di Villa Ippoliti darà risalto alle sue opere, in un percorso di bellezza e di riscoperta che darà nuova vita al riconoscimento della sua grandezza. Gazoldo, dunque, potrà finalmente riappropriarsi pienamente della memoria di questo grande concittadino, legato sempre alla sua terra d’origine ma, nella sua dimensione artistica, cittadino del mondo».

Orari delle visite: lunedì-sabato, 9:00-12:00; giovedì, sabato e domenica pomeriggio, 15:00-18:00; per contatti: 0376 657141- opzione 2 e poi 1 o segreteria@comune.gazoldo.mn.it. L’ingresso è gratuito.https://www.lombardiabeniculturali.it/blog/istituti/museo-darte-moderna-mam/

AUTORE: ERMINIO MORENGHI (riproduzione del testo riservata)