I RITRATTI FOTOGRAFICI DI AVEDON A PALAZZO REALE

Richard Avedon, Dovima with elephants, evening dress by Dior, Cirque d’Hiver, Paris, August 1955; © The Richard Avedon Foundation, fonte: press kit Clp, immagine inserita al solo scopo di presentare la mostra.

DI FEDERICA RODI

MILANO. «I miei ritratti riguardano più me stesso che le persone fotografate». Con queste parole si apre, a Palazzo Reale di Milano, la mostra su Richard Avendon, fotografo di moda e ritrattista che ha saputo catturare in scatti immortali i maggiori protagonisti del secolo scorso.

La rassegna, aperta fino al 25 novembre, si articola in un allestimento raffinato; l’ambiente è totalmente avvolto nell’oscurità per esaltare le fotografie dell’artista, a loro volta poste su sfondo bianco per enfatizzare al meglio il soggetto. La mostra si compone di cinque sale principali e racchiude il lavoro del ritrattista di oltre cinquant’anni, sezionandolo in tre parti principali: i ritratti, la moda e il suo rapporto particolare con Gianni e Donatella Versace.

La mostra si apre facendo incontrare ai visitatori uno dei mondi tanto affini a quelli del fotografo: la moda. In questa sala si racconta il rapporto tra Avendon e le modelle più iconiche degli anni Cinquanta-Sessanta: una fra tutte è la super modella Dovima, raffigurata insieme a degli elefanti in un abito di Dior totalmente black and white.

Attraverso l’abilità innata di riuscire a catturare l’attimo perfetto, oltre alla figura fisica, Richard è riuscito a catturare anche l’essenza della persona stessa: dai suoi personaggi, figure emblematiche del Novecento, traspare, tanto nei visi quanto nei movimenti, il puro candore della loro anima. Lo possiamo vedere nelle due foto dell’attrice Marilyn Monroe, dove, invece che stilizzarla, Avendon prova a immortalarla al culmine di una forte emozione, da queste due immagini possiamo vedere l’essere umano oltre il mito: le foto sono opposte l’una all’altra. Da una parte, infatti, l’attrice sembra colta da un momento di forte vulnerabilità, mentre dall’altra appare con parte del viso addolcita, intenta ad abbracciare il marito. Oppure, nel ritratto di John Ford, regista di film western che si distinguevano per la scelta di girare nel sud – ovest americano, in particolare nello scenario della Mountain Valley. A dispetto della sua biografia, in questa foto traspare invece il volto dell’antieroe, pallido e raggrinzito, quasi l’ombra di quello che era un tempo.

Entrambi i ritratti sono comunque stati realizzati all’inizio degli anni Settanta: è in questo momento il fotografo inizia a sviluppare lo stile per cui è tanto noto. Uno degli elementi fondamentali che lo distinguono è lo sfondo bianco che permette di eliminare le potenziali distrazioni e di enfatizzare le qualità della postura, dei gesti e dell’espressione del volto.

Inoltre lavora principalmente con una macchina fotografica di grande formato, scattando a una distanza tanto ravvicinata da permettere al soggetto di riempire gran parte dell’inquadratura. Riducendo al minimo lo spazio vuoto, Avendon richiama l’attenzione sul rapporto tra figura e bordo scuro.

la mostra continua con un’altra fetta del lavoro del ritrattista: le riviste. Riviste come Vogue hanno sempre ricercato foto di artisti, registi e personaggi carismatici di quel tempo come Andy Warhol e Malcolm X. In particolare, la scelta di Avendon di introdurre una luce intensa e una leggera sfocatura sul volto dell’attivista per i diritti umani è una scelta piuttosto insolita. All’epoca in cui fu eseguito lo scatto, Malcolm X (1925 – 1965) era una figura di spicco per la lotta contro i diritti civili.  Egli era critico nei confronti di altri movimenti americani che ponevano l’accento sull’integrazione razziale, al contrario il leader delle Pantere Nere era per la separazione tra bianchi e neri. Per il suo assassinio, avvenuto a New York City, furono condannate tre persone appartenenti al suo movimento. Rimane quindi complessa da decifrare la scelta di Avendon di oscurare parte del suo volto.

Incaricato dalle riviste, Richard ha immortalato artisti, attori, musicisti ed esponenti di spicco a livello globale, ma il suo occhio fotografico si posò anche sulle vite delle persone comuni, che lui stesso riteneva degne di essere raccontate. Ha infatti catturato la figura di William Casby, un ex schiavo, e molti dei lavoratori incontrati nel sud est statunitense. Questi scatti sono stati ampiamenti criticati e accusati di crudeltà poiché si evidenziava la situazione difficile dei lavoratori americani. In Realtà Avendon volgeva il suo sguardo acuto verso ogni persona che ritraeva, seguendo il suo costante impulso di riprendere ogni dettaglio, rendendolo così immortale.

La rassegna si conclude con l’ultima sala, dedicata al suo rapporto con i Versace, interfacciandosi prima con Gianni e successivamente con la sorella Donatella. Qui le rappresentazioni fotografiche cambiano radicalmente: i fotogrammi si tingono di colore, per riuscire a focalizzarsi meglio sugli abiti, molto sgargianti, della casa di moda. Colpisce, fra tutti, lo scatto ‘’ Kara Young e Reinaldo ‘’: in questa fotografia Avendon compone un giocoso, innocente e sensuale studio dei dui modelli Kara e Reinaldo, inginocchiati l’una sull’altro per presentare al meglio un foulard di Versace che svolazza verso il cielo. Il contrasto tra i colori caldi degli incarnati e i toni freddi del foulard a guisa di farfalla genera un senso di movimento ed equilibrio, quasi una leggera danza, mentre i volti nascosti creano un velo di curiosità e mistero, su cosa possa succedere al riparo dei nostri occhi.

Donatella, per descrivere il suo rapporto con il fotografo, utilizza queste parole: 

«Per Avendon le relazioni erano tutto. La relazione con noi colleghi e amici. La relazione con il soggetto della foto e la storia che raccontavano».

D’altro canto, non è proprio quello che traspare da questa mostra? Un tripudio di soggetti, personaggi incredibili che quasi sembrano perforare la pellicola per apparire accanto a noi, a raccontarci le loro storie e i loro segreti. Perché davanti all’occhio attento e scrutatore della macchina di Richard non si può mentire.

Orari. Lunedì chiuso. Martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 10.00 -19.30
Giovedì 10.00 – 22.30 (la biglietteria chiude un’ora prima), catalogo Skira.

Nota. L’immagine in apertura, fonte: press kit Clp, è stata inserita al solo scopo di presentare la mostra.