CREMONA. Se amate l’arte di Sofonisba Anguissola non potete lasciarvi sfuggire Sofonisba. La turbinosa giovinezza di una pittrice, l’ultimo romanzo storico di Luciana Benotto, edito da La Vita Felice. Il volume sarà presentato il 3 luglio alle ore 21 nel cortile del Museo Civico Ala Ponzone (Via Ugolani Dati, 4). L’autrice ha gentilmente risposto alle nostre domande su questo intrigante volume.
Da dove nasce il tuo interesse per Sofonisba?
Amo l’arte e soprattutto la pittura, elementi che rientrano sempre nei miei romanzi storici, e poiché dopo Il Duca e il Cortigiano e A bon droit dedicati a Guidobaldo da Montefeltro e a Gian Galeazzo Visconti mi sembrava giusto avere come protagonista una donna, preferibilmente un’artista, il destino mi ha fatto incontrare la Anguissola alla Pinacoteca di Brera, che espone un suo autoritratto. Incuriosita, ho quindi cercato notizie, scoprendo che non erano moltissime, ma abbastanza per convincermi che i novantatré anni della sua vita fossero così interessanti da meritare di uscire dall’oblio, visto che di Sofonisba nel nostro paese non si parlava dal 1994, anno in cui ci fu una mostra a Cremona dedicata a lei e alle sue sorelle. Poi, proprio quando stava per uscire il romanzo (gennaio ’20), è incredibilmente accaduto che ci fosse un rinato interesse per i suoi lavori, tanto che dall’ottobre 2019 sino al febbraio 2020, c’è stata una mostra al Prado dedicata unicamente a lei a Lavinia Fontana, e attualmente alcune sue opere sono esposte al Palazzo Reale di Milano nella mostra “Le signore dell’arte”. Nell’intervallo di tempo intercorso tra il ’94 e il ’19, per fortuna erano usciti alcuni saggi, grazie ai quali ho scoperto dove erano esposti i suoi lavori; quindi per poter scrivere di lei mi sono recata in Spagna, a Berlino e ho viaggiato per l’Italia seguendo, se così si può dire, le sue orme.
Quando e come hai iniziato a scrivere il libro?
Credo quattro anni e mezzo fa, dopo aver raccolto tutto il materiale possibile e averci ragionato sopra un anno, perché non sapevo come condensare la sua lunga e affascinante vita in un solo volume per quanto corposo; allora ho optato per la trilogia e ho iniziato a stendere la storia della sua giovinezza.
Il sottotitolo allude a una “turbinosa” giovinezza della pittrice. Ce ne puoi parlare?
Si tratta di un romanzo di formazione nel quale si vede Sofonisba dall’età di nove anni sino ai ventotto, quando lascia l’Italia per andare in Spagna alla corte di Filippo II. Narro non solo di lei, ma anche della sua famiglia e della sua cerchia: padre, madre, sorelle, servitù, amiche, amori, gli insegnanti, il tutto inserito nel contesto storico-politico del Ducato di Milano e degli Stati delle famiglie le cui corti lei frequenterà: Gonzaga, Farnese, Sanvitale e i contatti con artisti quali Michelangelo, Giulio Clovio; insomma racconto la vita di una persona in carne ed ossa. L’aggettivo turbinosa rappresenta la vitalità della giovinezza, la voglia di emergere, di conoscere il mondo e quindi l’apertura mentale e la disponibilità ad agire, per avere una vita degna di questo nome.
Le biografie ufficiali parlano di un forte ascendente del padre sull’artista. Come affronti questo rapporto nel volume?
Il padre Amilcare è una figura importantissima per tutte le sue figlie: Sofonisba, Elena, Lucia, Minerva, Europa, Anna Maria, che sono una tribù di amazzoni armate di pennelli, tele, matite e colori. Egli ritenne di far loro impartire un’educazione uguale a quella dei figli maschi dopo aver letto Il libro del Cortegiano di Baldassar Castiglione, che tanta fortunata eco ebbe in quel periodo; in sostanza, un’educazione che comprendesse anche la pittura. Il conte Anguissola è presente sin dal primo capitolo, che segue quello introduttivo che vede una Sofonisba vecchissima, ma lucidissima, nel periodo in cui risiedeva a Palermo; ed è presente sino alle fine. Lo si vede muovere per casa sua, per Cremona, nei dialoghi con la moglie verso cui è stato un buon marito innamorato; lo si vede chiacchierare alle feste coi suoi amici e conoscenti, lo si vede sempre attento nei confronti delle figlie, e naturalmente del figlioletto Asdrubale, che tanto desiderava per poter portare avanti il nome della famiglia.
Cosa ti affascina maggiormente di questa straordinaria autrice?
Mi affascinano il suo coraggio, la sua caparbietà, l’intelligenza, la sua scaltrezza, la garbatezza e la sua voglia di emergere in una professione ritenuta maschile che solo le figlie dei pittori potevano esercitare: di una donna così, come potevo non raccontare la straordinaria vita?
C’è un quadro, in particolare, che pensi la rappresenti più di ogni altro?
La partita a scacchi, un dipinto del 1555, nel quale ritrae Lucia, Minerva ed Europa che giocano, osservate da una serva. Si tratta di una tela tramite la quale la pittrice vuole dire che anche le ragazze istruite possono dedicarsi a un gioco riservato al sesso maschile, e inoltre è ancor più interessante l’altro messaggio contenuto nel quadro, ovvero il fatto che la donna è il pezzo più potente perché sulla scacchiera è quella che gode della maggiore mobilità, e che la sua potenza si esprime al meglio quando la situazione è aperta. Insomma, trovo che questo suo lavoro esprima la sua visione dell’universo femminile, un universo che deve essere cambiato lasciando il debito spazio alle donne, che in quel periodo vivevano veramente in un mondo dominato esclusivamente dagli uomini, e come delle eterne bambine dovevano assoggettarsi alla tutela di padri, mariti e fratelli, mentre lei già rivendicava per il genere femminile un nuovo spazio nella società.