DAL NEOREALISMO PITTORICO DI GUTTUSO AL NEOREALISMO CINEMATOGRAFICO FINO AL CRUDO REALISMO DI PASOLINI

Da sinistra R. Guttuso e P. Pasolini, credits prhoto: Wikipedia

VITERBO. Renato Guttuso, (1911/1987), è il maggior rappresentante italiano della pitturaNeorealista”, quel “Neorealismo” che troverà ampio spazio in letteratura e, soprattutto, nel cinema, con i film di Roberto Rossellini e di Vittorio De Sica.

La “Crocifissione” di Guttuso è, molto probabilmente, il quadro più importante del pittore siciliano, dipinto nel 1941 e vincitore di uno dei tre premi del “Premio Bergamo”, nel 1942. Il lavoro, di derivazione picassiana, vuole raccontare il dramma della seconda guerra mondiale. Siamo tutti dei Cristi in croce infatti, il volto di Gesù è nascosto, non rappresenta un uomo ma, l’intera umanità. Domina il colore rosso, connotazione politica ben precisa, Guttuso era iscritto al Partito Comunista, e si evidenziano, in questa direzione, anche i pugni chiusi, simbolo di saluto proprio dei comunisti, che si notano nella composizione; non ci sono vestiti per non dare riferimenti temporali precisi: è un dramma che investe tutto e tutti, è la nudità dell’UOMO, spogliato da qualsiasi “maschera”, da qualsiasi travestimento. Viene fuori tutta la bestialità, l’assurdità e la violenza della guerra, stupidità assoluta dell’UOMO.

Sullo sfondo si notano le case distrutte, il paesaggio violentato, sono i “brandelli di muro” di ungarettiana memoria, il nostro Calvario. Abbiamo parlato, per Guttuso, di “pittura neorealista”, e allora è facile agganciare l’umana partecipazione dell’artista siciliano, ad un altro aspetto creativo degli anni della seconda guerra mondiale o dell’immediato dopoguerra, quello del “cinema neorealista”. Se dovessimo individuare, ufficialmente, una data per la nascita del “Neorealismo italiano”, questa dovrebbe essere il 24 settembre del 1945, quando, al teatro “Quirino”, a Roma, fu proiettato il film del regista, Roberto Rossellini, “Roma città aperta”. Un capolavoro che parla dell’occupazione nazista nella capitale, girato con mezzi di fortuna, quello che si trovava, dopo che la guerra, appena terminata, aveva distrutto, cancellato tutto. Quindi pellicola scadente, corrente elettrica erogata con il contagocce, finanziatori inesistenti. La buona volontà di pochi permise al nostro cinema, piano, piano, di affermarsi a livello internazionale proprio con il “Neorealismo”, una nuova corrente che, guardando alla vita di tutti i giorni, portava sugli schermi, con estrema sincerità, i problemi del paese. Le ambientazioni erano essenziali, scarne, la strada era protagonista, anche nella scelta degli attori che, spesso, venivano presi proprio da lì. Anche quando c’erano attori professionisti, questi erano permeati da una carica di popolaresca umanità, come nel caso del già citato film, “Roma città aperta”, che vedeva attori del calibro di Anna Magnani e Aldo Fabrizi. Roberto Rossellini, dopo aver inaugurato, nel 1945, il filone del cinema neorealista con, “Roma città aperta”, darà vita alla cosiddetta, “trilogia della guerra”, realizzando altri due film che avevano per argomento l’evento bellico: nel 1946,  “Paisà”, e, nel 1947, “Germania anno zero”. Tra i registi più importanti del, “Neorealismo”, sono da ricordare: Vittorio De Sica, Cesare Zavattini, Luchino Visconti, Luigi Zampa, Alberto Lattuada, Pietro Germi e Giuseppe De Santis. La capitale del, “Neorealismo”, è Roma, ed è qui che, dal 1950, questa città, sarà arricchita dalla presenza di Pier Paolo Pasolini. Questo grande intellettuale (poeta, scrittore, saggista, polemista, regista), nasce a Bologna il 5 marzo del 1922, ma manterrà sempre un forte legame con la cultura friulana, per via della madre, nativa di Casarsa, e la sua prima opera letteraria sarà proprio un omaggio a questa terra, con la pubblicazione, nel 1942, di, “Poesie a Casarsa”, scritte in dialetto friulano. Il suo primo romanzo, invece, “Ragazzi di vita”, viene pubblicato nel 1955, mentre, nel 1959, uscirà, “Una vita violenta”, ideale proseguimento del primo lavoro da scrittore. Già in questi primi due romanzi ci sono tutte le caratteristiche di Pasolini: quella strada, così importante ed espressiva che aveva fatto da sfondo al cinema, “Neorealista”, viene esaltata, resa protagonista, quasi personificata, dal poeta e scrittore. E’ lì, che si dipanano le storie, e lì, che prendono vita i suoi personaggi, i ragazzi del sottoproletariato romano, i ragazzi di borgata, che vivono di espedienti, di furti, rapine, prostituzione. Pasolini vuole ancor di più ampliare, amplificare, il suo discorso e lo farà, dal 1961, con il mezzo, allora, più adatto per fare questo: il cinema. L’esordio, come regista, avviene con il film, “Accattone”, del 1961, che già, nel titolo, rimanda alle sue opere precedenti come scrittore. Seguirà, l’anno dopo, “Mamma Roma”, storia di una prostituta, interpretata dalla grande, Anna Magnani. Poi, praticamente, un film all’anno, sino ad arrivare agli anni settanta, dove, tra il 1971 e il 1974, realizzerà la cosiddetta “Trilogia della vita”, con i film, “Il Decameron”, “I racconti di Canterbury” e “Il fiore delle mille e una notte”. A questa, “Trilogia della vita”, doveva far seguito, “La trilogia della morte”, iniziata con il film, “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, realizzato nel 1975 e uscito postumo nel 1976. Pier Paolo Pasolini ha lasciato un vuoto nella cultura poiché è stato il più attento e lucido osservatore dei mutamenti e della grande metamorfosi della società italiana, (in questo senso va anche vista la collaborazione che lo scrittore ebbe con varie testate giornalistiche, soprattutto con, “Il Corriere della Sera”, tra il 1973 e il 1975, collaborazione poi raccolta nella pubblicazione, “Scritti corsari”). Con netto anticipo su tutti ha saputo leggere i cambiamenti sociali, e, i suoi scritti, le sue poesie, i suoi film, sono la dimostrazione della grande intelligenza e sensibilità di Pasolini che, per tutta la vita, ma anche dopo, è stato sempre attaccato, perseguitato, offeso e processato. Una figura intellettualmente libera e, per questo, invisa ai più, che ha pagato un prezzo troppo alto per la sua diversità culturale, morale e sessuale. Il 2 novembre, del 1975, il corpo del poeta fu ritrovato in un campo sterrato dell’Idroscalo di Ostia, massacrato di botte e con il torace, ed il cuore, letteralmente spaccato, dopo che un’ auto gli era passata sopra. Per questo fu incriminato, Pino Pelosi, detto la “Rana”, uno dei ragazzi di vita, uno dei tanti protagonisti delle sue opere, anche se è stato sempre difficile credere che un ragazzo, gracile, all’epoca diciassettenne, potesse ridurre, in quello stato, Pasolini che, tra l’altro, era anche allenato, pronto allo scontro fisico e che praticava arti marziali. Pino Pelosi muore nel 2017 e, ancora oggi, la morte di Pasolini continua ad essere avvolta e offuscata da molti lati oscuri.

AUTORE: ALFONSO TALOTTA