IL NAIF SURREALE DI PRIMULA CAMPOMAGGIORE

Un’opera di Primula Campomaggiore, credits photo: courtesy of Eredi dell’artista

VITERBO. “NON C’E’ NULLA CHE MI RENDA PIU’ FELICE CHE GUARDARE LA NATURA E RITRARLA”. Partirei da questo aforisma di Henri Rousseau per ricordare l’opera pittorica di Primula Campomaggiore (Vetralla, 1951/Parigi, 1988) perché non nel dramma esistenziale di Ligabue, naif espressionista che deriva sicuramente da un altro tormentato artista, Vincent Van Gogh, ma la rivedo nella precisa e dettagliata pacatezza del pittore francese, il “Doganiere” Rousseau, che con la sua fantasia riusciva a trasformare un paesaggio urbano in una giungla erbosa, inaccessibile e misteriosa.

Ma Primula trova una sua via, personale, originale, e mette insieme la spontaneità, il primitivismo del pittore francese con la visionarietà, con il sogno del pittore russo Marc Chagall ed ecco che i suoi quadri, i suoi murales diventano poesia del quotidiano, del lavoro, della vita. I cieli azzurri, i verdi intensi dei suoi prati, gli accesi colori dei fiori, la festosità che pervade i paesaggi di Primula diventano musica, sinfonia cromatico-musicale che lei dirige da abile padrona della situazione perché tutto quello che sta facendo corrisponde alla sua vita, al suo essere, al suo sentire.

Non mente Primula quando costruisce la sua pittura, lei è lontana da tutto quello che sta succedendo intorno alla società in cui vive, non per disinteresse o superficialità, ma perché lei ha il suo mondo, un mondo pulito, ingenuo, spontaneo, un mondo di sogno e nel sogno tutto può accadere, anche che ci sia solo un mondo buono e la pittura di Primula diventa, in questo caso, un atto di magia. Al posto della bacchetta magica la pittrice vetrallese ha un pennello magico che le permette di trasformare il mondo, le cose, le persone, in un’epifania positiva, gioiosa, propositiva. I suoi numerosi murales, sparsi in varie parti d’Italia, di questo ci parlano: si depositano sul muro ma non rimangono lì, in modo statico, inerme, appartato, ma aprono quel muro, lo oltrepassano, lo sfondano per farci vedere quello che è al di là di quel muro che blocca, respinge, nasconde.

Si aprono gli orizzonti e ci svelano un’altra via, un’altra possibilità, una via d’uscita che può essere un campo di grano sconfinato, un infinito cielo, un libero volo di rondini. Ecco ancora la positività di Primula che si contrappone ad una visione pessimistica e negativa della vita:

<<Signore, quando la prateria è fredda…fa calare dal gran cielo i corvi cari ed amati…A migliaia sui campi di Francia, dove dormono i morti di ieri, volteggiate quando verrà l’inverno…O mio nero uccello di morte!>> (Arthur Rimbaud).

Per Primula non corvi, di vangoghiana memoria, presagio di morte, ma rondini, simbolo di primavera, di rinascita, di vita! Anche le figure di Primula sembrano essere portatrici di calma e serenità, libere dal dolore, rassicuranti, protette, inserite, spesso, in ampi spazi che custodiscono il segreto di questa solarità, di questa dimensione positiva. Se i muralisti messicani, Orozco, Rivera e Siqueiros, degli anni venti e trenta del novecento, raccontavano con le loro opere di rivoluzioni, proteste e malesseri, l’opera di Primula ci vuole, invece, lasciare il sogno di un mondo diverso, dove tutte le cose sono andate a posto, dove regna l’equilibrio di madre natura, dove il sole risplende su un campo di grano dove, insieme ai papaveri, è nata anche una Primula.

AUTORE: Alfonso Talotta