LE COLLEZIONI DIGITALI D’ARTE: PREGI E LIMITI

Foto di Paul Henri Degrande da Pixabay

ROMA. Le tecnologie introducono un nuovo modo di catalogare i contenuti, sfidando le idee tradizionali di raccolta, presentazione, documentazione e conservazione.

Sempre più spesso i musei si affidano ad archivi digitali e software per gestire e conservare i loro contenuti e offrono collezioni, mostre, tour, archivi e attività didattiche interattive e online. Le collezione online sono composte da surrogati digitali di oggetti fisici o da alcuni tipi di new media art. Una collezione digitale non presenta gli oggetti fisicamente, quindi non può fornire l’esperienza di essere di fronte all’opera d’arte né replicare lo stesso incontro che si può verificare all’interno del museo, poiché crea un contesto diverso nel quale vengono vissute le opere (Bayne, Ross, e Williamson, 2009; World of Museums, 2001).

Le collezioni digitali offrono l’opportunità di ampliare l’esperienza museale e favorire l’accesso alla collezione del museo: per cui possono riscrivere il significato delle collezioni promuovendo modelli polisemici per interpretarle (Cameron, 2003).

Recentemente, i musei si stanno concentrando sulle collezioni digitali fornendo opportunità interattive piuttosto che informazioni tassonomiche, adottando una narrativa tematica e sviluppando sistemi di collezioni personalizzati, che consentono agli utenti di salvare, condividere e interagire con le risorse digitali attraverso una pagina personale (Cameron, 2005; Bertacchini e Morando, 2013). Ad esempio, la Tate consente ai visitatori di creare le proprie collezioni online e il Louvre consente anche di creare tour online personalizzati.

Tuttavia, secondo un sondaggio condotto da Paul Marty (2008), i visitatori sono più interessati alla customizzazione che alla personalizzazione.

Inoltre, attraverso le piattaforme online, i musei si promuovono e si commercializzano estendendo e interagendo con la loro rete, attirando nuovi volontari e formando delle comunità online. Tali comunità svolgono anche un ruolo in termini di conservazione e ricerca (Drotner e Schroder, 2013; Hannon, 2016; Russo et al., 2006; Kotler e Kotler, 2000). La visita al museo può avvenire nello spazio fisico e/o online, ridefinendo così i modi, i tempi e i luoghi della comunicazione. L’ambiente online non è infatti influenzato dall’ accessibilità degli edifici, dagli orari di apertura, dal budget o dai confini geografici (Kelly e Groundwater-Smith, 2009; Ciolfi e Bannon, 2007). Gli utenti possono continuare la loro visita e trovare ulteriori informazioni anche dopo aver lasciato il museo. Inoltre, attraverso l’uso di strumenti online personalizzati, i musei possono adattarsi a diversi stili di apprendimento (Kelly, 2002, 2007; Hamma, 2004).

Marty (2007; 2008), intervistando oltre 1200 visitatori di nove musei americani, mostra come quasi il 76% di essi consideri l’ambiente online uno strumento utile per presentare esperienze uniche che non possono essere replicate nei musei, ma solo il 19% di loro lo ritiene sostitutivo alla visita fisica.

Quasi l’80% degli intervistati si affida ai siti web ufficiali per trovare informazioni (come l’indirizzo, la quota di ammissione, le mostre in corso) o implementare le conoscenze riguardo al museo, mentre circa il 30% dei partecipanti utilizza risorse didattiche. Approssimativamente l’85% degli utenti dichiara di avere esigenze e aspettative diverse nel visitare musei online e tradizionali poiché preferisce svolgere alcune attività all’interno del contesto museale e altre online. Infine, la maggior parte dei partecipanti preferisce accedere alle collezioni digitali dopo la visita al museo piuttosto che prima, spesso perché il museo ha troppi oggetti da vedere in una sola visita (circa l’80% degli intervistati).

Il regno digitale, per i musei, diventa uno spazio nuovo nel quale realizzare obiettivi; quindi comprendere come utilizzare efficacemente le risorse digitali è fondamentale per il loro successo. Il digitale trasforma la gestione dei musei e il loro rapporto con i visitatori, i quali possono interagire e manipolare i contenuti. Le pagine web e i social media sono ormai aspettative basiche. Secondo la definizione internazionale fornita da ICOM (2007), il “museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo” che “acquisisce, conserva, ricerca, comunica e mostra il patrimonio … dell’umanità“. I musei funzionano come testi fenomenologici (Wood e Latham, 2011) ed offrono esperienze e conoscenze per esplorare e interpretare il mondo della vita, poiché creano relazioni significative e forniscono interazioni sensoriali e intellettuali attraverso la nostra presenza corporea (Brulon Soares, 2009; Latham, 2015).

I nuovi media consentono ai visitatori di dare feedback e indicare le loro esigenze, cambiando il loro rapporto con il museo e con l’artista. I musei passano da un modello di comunicazione uno-a-molti a un modello molti-a-molti, dal ruolo di fornitori a quello di comunicatori di conoscenza (Russo et al., 2008). Nel corso del XX secolo, la museologia inizia a presentarsi come nuova museologia, scienza umana che sposta la propria attenzione dagli oggetti ai visitatori e si oppone alla tradizionale visione del museo come luogo elitario. La nuova museologia considera il pubblico e la sua esperienza come soggetto d’indagine primario, e si occupa anche del ruolo sociale e politico dei musei (Assuncao e Primo, 2013; McCall e Gray, 2014; Ross, 2004; Vergo, 1993).

Pertanto, emerge l’importanza di adottare un approccio centrato sul visitatore (Masberg e Silverman, 1996; Black, 2005) e di utilizzare le risorse digitali per sostenere la missione del museo senza comprometterne il valore e l’ esperienza. Come visto, i nuovi media estendono l’accessibilità, il senso di proprietà e di appartenenza, e il dialogo tra il museo e il pubblico, contribuendo a sfidare la tradizionale idea di arte come segregata dalla vita quotidiana e prerogativa delle classi sociali dominanti. Per Dewey (1934) la segregazione deriva dall’ascesa di nazionalismo e imperialismo, mentre il primato dell’oggetto materiale (rispetto al fruitore) è conseguenza dell’ascesa del capitalismo (Krauss, 1990; Leddy, 2009). Secondo Pierre Bourdieu (1979) l’élite determina le preferenze estetiche e il capitale culturale; il museo preserva questo status quo, in quanto la sua visita presuppone un certo bagaglio di conoscenze, non ugualmente ricevute a scuola (Bourdieu, Darbel e Schnapper, 1966; Fyfe, 2004). Accogliendo il digitale, i musei hanno maggiori possibilità di diventare inclusivi e raggiungere visitatori provenienti da tutte le classi sociali.

AUTRICE: DINA FOGLIA

Dina Foglia ha conseguito una Laurea magistrale in Scienze filosofiche a Milano e una in Museums, Galleries and Contemporary Culture a Londra, insegna alle superiori. Ha conseuguito un Master in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Milano e un Master in Musei, Gallerie e Cultura Contemporanea presso l’Università di Westminster a Londra, che le ha dato l’opportunità di lavorare come curatore. Ha ideato il sito sito Books of Art (https://www.booksofart.org/)

Bibliografia