PRUDENT TRIANGLE: PERSONALE DI HENRY CHAPMAN AL LABS CONTEMPORARY ART

Un’opera di Chapman

BOLOGNA. Labs Contemporary Art, presenta, fino al 21 aprile, la personale dell’artista statunitense Henry Chapman intitolata Prudent triangle.

Questo il comunicato che illustra la rassegna.

La mostra, curata da Domenico de Chirico, è composta da dodici dipinti realizzati durante questi mesi difficili, segnati dagli sconvolgimenti che hanno paralizzato gli Stati Uniti con la presa d’assalto a Capitol Hill. Il progetto racchiude un testo scritto da Chapman per questa occasione e un’intervista tra il curatore e l’artista. Prudent triangle indaga la sintassi della pittura e l’autenticità del linguaggio data dall’uso del colore. Il titolo della mostra si rifà alla poesia dell’autore serbo Vasko Popa (1922 – 1991) e nella quale l’artista trova una profonda sensibilità nella forma triangolare che richiama le forme Costruttiviste, dove la figurazione e l’astrazione si incontrano.


C’era una volta un triangolo
Aveva tre lati
Il quarto lo teneva nascosto
Nel suo centro ardente
Di giorno ha scalato le sue tre cime
E ne ha ammirato il centro
Di notte si riposava
In uno dei suoi tre angoli
Ogni alba guardava i suoi tre lati
Trasformarsi in ruote infuocate
E svanire nel blu del non tornare mai più

Come lo stesso Chapman scrive nel testo che accompagna la mostra: “Lì ho trovato la forma centrale di questo lavoro, che suggerisce una ruota dei colori o un orologio. In alcuni, è come una figura con le braccia tese; in altri, una forma floreale o stellare. Le parole serigrafate si muovono intorno o all’interno di questi segni e sfumature di colore, spesso nei punti in cui si trovano numeri su un quadrante. L’idea è il movimento. Le parole stesse non sono il “linguaggio” del dipinto, ma parte del linguaggio. Una parte di colore. Qui sono tornato al colore, percependo il suo centro ardente”.

Nei dipinti di Chapman fuoriescono, con una forza sorprendente data dall’uso del colore, tematiche e problematiche attuali, sociali e politiche: identità etnica, colonialismo, ricerca delle proprie origini, sopravvivenza e supremazia bianca. L’impegno di questi lavori fa scaturire una serie di quesiti: “di quali parole ci possiamo fidare oggi? Quali parole userebbero i nostri antenati? “ Di quali colori ci fidiamo oggi? Quali colori avrebbero usato i nostri antenati?” Il testo di Chapman che accompagna la mostra fa emergere l’importanza che il linguaggio e la pittura possiedono: “Ho sempre desiderato che la pittura – il corpo pensante e sensibile di un dipinto – parlasse.” Henry Chapman, è nato nel 1987, vive e lavora a Brooklyn (NY).

Intervista

Domenico de Chirico (DDC): qual è il tuo approccio alla pittura?
Henry Chapman (HC): Sono figlio di un pianista e alcuni dei miei strumenti per intendere la
pittura derivano dalla musica: pratica, performance, movimento, tempo. Questi riflettono il modo
in cui realizzo ogni dipinto – in una o due sedute, su una scala che richiede tutto il mio corpo e
sulla base di studi fatti prima con l’acquerello. Riflettono anche il mio modo di porre queste
domande sulla pittura: qual è il linguaggio giusto per incarnare l’esperienza? Cos’è il linguaggio? Cos’è il corpo?

DDC: Ci puoi parlare delle forme ricorrenti e della ripetizione del linguaggio nel tuo
lavoro?
HC: Una forma centrale nel mio lavoro evoca sia una ruota dei colori che un orologio; in alcuni
dipinti, una figura protesa verso l’esterno. In altri, una forma stellare o floreale. Le parole
serigrafate si muovono intorno o all’interno di questi segni e sfumature di colore, spesso nei punti
in cui si trovano numeri su un quadrante. L’idea è il movimento. Muoversi attraverso diversi
modi e concetti: pensare, sentire, parlare, agire. Le parole stesse non sono il “linguaggio” del
dipinto, ma parte del linguaggio. Una parte di colore.

DDC: Come pensi al colore in quest’opera?
HC: Il colore nella sua infinità non ammette maestria. Il colore è una lingua impossibile da
imparare completamente; Penso che questo sia il motivo per cui ho continuato a riprenderlo per
mesi e anni di dolore. (anche questo è un linguaggio). Il mio ultimo gruppo di dipinti si distanzia
dai precedenti iniziando da una base scura; questa è la base per il tempo, movimento, prestazioni
e pratica. Le relazioni di colore sono limitate alle sfumature di nero, marrone, blu, porpora, viola
e verde.

DDC: Puoi parlarci delle tue influenze?
HC: Il mio modo di pensare alla pittura è stato formato dall’esempio di artisti che si muovevano
facilmente tra mezzi, idee e categorie di segni (astratti e figurativi, per esempio). In nessun
ordine particolare, e solo per citarne alcuni, artisti come Sigmar Polke; Kerry James Marshall; i
dipinti e la poesia di Etel Adnan; Adrian Piper; Theresa Hak Kyung Cha’s Dictee; Rochelle
Feinstein; Richard Aldridge.

DDC: Cosa hai tratto dal guardare questi artisti?
H.C. Quello che ho imparato da questi artisti e da altri è un’irrequietezza per l’inadeguatezza del
linguaggio, indipendentemente dal fatto che quel linguaggio sia colore, inglese o altro.

NOTA. Testo e foto: courtesy of uff. stampa dell’evento.