SALVO: 80 OPERE AL MACRO A PARTIRE DALL’AUTORITRATTO COME RAFFAELLO

Salvo, Autoritratto come Raffaello, press kit uf. stampa Macro

ROMA Autoritratto come Salvo è una mostra al Macro pensata per restituire, tramite un compendio polifonico di opere, la complessità della figura di Salvo e del suo percorso artistico.
Il progetto espositivo, riprendendo il titolo di uno dei lavori più conosciuti dell’artista, Autoritratto come Raffaello, offre, nella forma di una grande quadreria composta da più di ottanta opere, una panoramica dell’intera produzione di Salvo.
Entreranno progressivamente a far parte di questo ritratto anche lavori degli artisti Jonathan Monk, Nicolas Party e Nicola Pecoraro, mentre la sound performer e musicista Ramona Ponzini offrirà una sua personale interpretazione della mostra.

Trasferitosi a Torino nel 1956 dalla provincia di Enna, in Sicilia, Salvatore Mangione (1947-2015) intraprende fin da giovanissimo un viaggio nell’arte da autodidatta. Sul finire degli anni Sessanta frequenta la generazione che ruota intorno alla galleria di Gian Enzo Sperone, con cui lui stesso lavorerà. Amico di Alighiero Boetti, Mario Merz, Gilberto Zorio, in questo momento florido per l’arte italiana circoscrive la sua ricerca al ruolo della storia, del passato e dell’io. Questi temi si ritrovano in un primo nucleo di lavori: le lapidi, la serie di fotomontaggi in cui Salvo compare come un panettiere, un soldato o intento in altri mestieri, nella veste di un santo benedicente o nell’Autoritratto come Raffaello. Il Salvo protagonista dei suoi stessi lavori è anche quello tricolore (con il nome ricamato con i colori della bandiera d’Italia o presentato con luci bianche rosse e verdi al neon) o il personaggio di alcuni romanzi o testi da lui trascritti a mano come Salvo nel paese delle meraviglie o Simbad (Storia di Salvo il Marinaio). Infine esiste anche Salvo che richiede che il suo nome venga scritto più grande di quello degli altri artisti nei progetti espositivi a cui partecipa, come nel caso di Documenta 5 (1972) o di De Europa (1972).

Il 1973 segna un cambiamento, una cesura che lo porta a praticare il mestiere del pittore ogni giorno e a essere considerato un outsider rispetto al contesto dell’epoca. La messa in discussione di un linguaggio dominante, quello concettuale ma anche quello dell’Arte Povera, lo induce a puntare tutto, con intensa operatività, sulla pittura. Nell’utilizzo di un solo e unico mezzo espressivo da questo momento, e fino alla sua scomparsa, il viaggio di Salvo è bidirezionale: verso il passato e verso il futuro. La tradizione ripresa dall’artista, oltre a quella mitologica e dei classici soggetti figurativi, si estende successivamente al paesaggio, alle nature morte, alle architetture e ai colori. Si tratta di osservare le cose in funzione del tempo e della luce, nozioni che hanno attraversato la storia dell’arte di cui era un attento studioso.

Nella pittura “solo pittura” di Salvo che esplode alle pareti della mostra sono inclusi gli interventi di Jonathan Monk, Nicolas Party, Nicola Pecoraro e Ramona Ponzini. Con progetti già precedentemente elaborati a partire dalla figura di Salvo o inconsapevolmente vicini al suo fare pittorico, queste voci amplificano la portata di un autoritratto che guarda al futuro.

Fonte. Testo e foto, inseriti al solo fine di presentare l’evento,: press kit Macro