LA DONNA CUCITA E VITRUVIANA: BORGNA IN MOSTRA AL TORCHIO

Un’opera di Graziella Borgna in mostra (Foto: E. Morenghi)

PIEVE SAN GIACOMO. Si è tenuto nei giorni scorsi a Pieve San Giacomo (Cremona), nei locali dell’Associazione culturale “Il Torchio”, il vernissage di Graziella Borgna in arte Cresi che ha avuto come tema centrale “la donna cucita e vitruviana” affrontato attraverso opere concettuali singolari con una puntata ai viaggi della morte dei profughi che da parecchi anni funestano le acque del Mar Mediterraneo divenuto un vero e proprio sepolcreto acquatico. L’arte concettuale avviata dallo statunitense Joseph Kosuth (celebre la sua opera Una e tre sedie del 1965) esprime peculiarmente idee e concetti veicolati da espressioni artistiche le più disparate che necessitano spesso di un’interpretazione critica dal momento che la fruizione non è esteticamente e percettivamente immediata. Il codice della realtà si giustappone a quello visivo e verbale stimolando nell’osservatore una percezione concettuale plurivoca. Erano presenti all’evento l’autrice delle opere, chi sta scrivendo, la consigliera neo-eletta di parità per la Provincia di Cremona avvocatessa Cristina Pugnoli e quella uscente prof.ssa Carmen Fazzi che hanno illustrato con riflessioni mirate e stimolanti il percorso della mostra di Borgna.

   L’idea della “donna cucita e vitruviana” nasce nel 2017, quando Graziella Borgna inizia a realizzare sculture in marmo dedicate alle MGF (Mutilazioni Genitali Femminili), vale a dire a quelle pratiche invasive e dolorose sul corpo delle donne dai diversi significati simbolici e antropologici ancora purtroppo in uso a diverse latitudini del globo. Questa ricerca artistica si era già arricchita, a suo tempo, degli apporti concettuali ed estetici provenienti dalla lettura di biografie sulle donne celebri nella Storia e dall’opera poetica La trama di  Penelope di Eugenia Tumelero, pubblicata nel 2015 per i tipi della casa editrice Apostrofo e incentrata sul regno delle madri ancestrali africane, un lungo canto a stazioni, in cui emerge il coraggio, la fierezza, la combattività, la fatica delle donne preistoriche consapevoli che il loro ruolo precipuo era quello di nutrire, curare e difendere la vita della loro prole, della loro discendenza. Da ciò era scaturita una serie di opere pittoriche a patchwork con un fondo blu cobalto sfumato dedicate alla violenza e ai soprusi nei confronti delle donne con rimandi a quadri celebri come Giuditta che decapita Oloferne di Artemisia Gentileschi, in cui entrava in gioco non solo il colore ma anche l’ago. L’arte del cucire è stata trasmessa sin da piccola a Borgna dalla propria madre Margherita Jeanmart belga d’origini, pittrice e ideatrice di abiti originali che lei stessa confezionava.

Il saper cucire, appannaggio prevalentemente femminile, è da sempre uno spazio che le donne si sono ritagliate per valorizzare la loro femminilità, il loro charme, la loro arte seduttiva, la  loro gioia di vivere nei colori dei fili e dei tessuti, i più disparati, ma non solo. La donna dotata di buona manualità con l’ago e il filo ricuce strappi, lembi di tessuti, ricostituisce metaforicamente un tutto scomposto, lacerato, disorganico, riporta ordine e armonia, tesse la trama della vita. Emblematica in tal senso è l’opera in mostra che evidenzia all’interno dell’anima di una spagnoletta la foto minuscola del viso di Borgna; all’estremità dell’oggetto, appeso a una parete, ricade un filo rosso infilato nell’ago. L’autrice ha trasferito questa pratica alle sue creazioni artistiche inaugurando la stagione dei cosiddetti “quadri cuciti” affiancati da una serie di sculture in legno e marmo volte alla denuncia accorata delle MGF con le ferite laceranti che ne derivano sul corpo e sulla psiche femminile (in particolare sono degne di essere menzionate quelle in legno, una che raffigura la cucitura della vagina effettuata dall’anziana di un presunto villaggio africano e l’altra appesa che consiste in una lama in sezione che proietta la sua ombra sulla parete, nonché una in marmo con l’inserimento di spine). “Ero già informata”-scrive Borgna- “sull’argomento e da sempre ho pensato che era la pratica più dolorosa e ingiusta inflitta alle bambine e alle donne. Così, quando ho osservato bene i pezzi di marmo che avevo raccolto a Botticino, ho avuto subito chiaro cosa farne. Ero cosciente del fatto che sarebbero state le ferite più grandi mai aperte … La presenza delle spine, completano l’opera. Dove le ho trovate, penserete? Le spine sono presenti sull’albero nel giardino del Torchio, appartenente alla famiglia delle acacie, chiaramente di origine africana …”. E’ stata questa una stagione creativa assai promettente che ha subito purtroppo una battuta d’arresto di alcuni anni dovuta a un black out esistenziale carico di sofferenza, di solitudine, di non comunicazione con il mondo esterno e gli altri. L’uscita dal tunnel e l’avvenuta guarigione hanno motivato Borgna a riprendere il filo del discorso artistico bruscamente interrotto con la consapevolezza di essere, metaforicamente, lei stessa la “donna cucita” pronta al confronto interpersonale, al racconto e alla condivisione della sua dolorosa esperienza comunque rigenerativa e catartica. Il black out non si limita alla sua persona ma può essere esteso a tutte le donne segnate da una battuta d’arresto nella loro vita dovuta a molteplici ragioni (Covid 19, MGF, spose bambine, guerre, stupri, discriminazioni) che vogliono risalire la china più reattive e combattive di prima.

   La mostra personale presenta perciò una ricca messe di opere pittoriche, di sculture, di interventi su fotocopie e teli stampati nonché di performance visive volta ad esprimere un’accorata denuncia delle discriminazioni, violenze, abusi, linciaggi fisici, morali e psicologici subiti dalle donne nel corso dei secoli sino ad arrivare ai giorni nostri, in cui il femminicidio, lo stupro, il pubblico ludibrio e la sottrazione di dignità trovano spazio quotidianamente nei media più accreditati. Non solo una denuncia ma anche un contributo fattivo alla campagna di sensibilizzazione delle pari opportunità delle donne, del loro ruolo centrale nella vita privata e pubblica, della loro funzione generativa, affettiva, nutritiva, curativa e intellettuale.

La donna rinata e autocentrata

   Borgna esprime a pieno il suo desiderio di essere e sentirsi autocentrata nel suo ruolo di donna e di artista nell’opera La donna cucita e vitruviana che fa da contraltare femminile al celebre “L’uomo vitruviano” di Leonardo da Vinci, un disegno a matita  (34,4×24,5 cm.) risalente alla fine del Quattrocento e custodito a Venezia nel caveau della Gallerie dell’Accademia. Una figura che troviamo effigiata correntemente sulla moneta da un euro e che ha suscitato a Borgna nel rimirarla una serie di interrogativi: “Perché non filosofare sul significato moderno di microcosmo e macrocosmo, ma pensando da donna? La donna sta nel cerchio e nel quadrato secondo la rappresentazione geometrica vitruviana, ma nel mio quadro elimino i suoi scritti [di Leonardo]. Metto solamente due parole in greco antico: “κόσµος  che significa cosmo, cielo e  µικρός che significa “piccolo” e si riferisce all’elemento terrestre, al microcosmo rappresentato dal bambino che la donna porta in grembo […] ed espresso dalla forma geometrica del quadrato dalla valenza germinativa. Non si può non pensare a questo punto: “Questo è un quadro che restituisce alle donne il loro giusto valore! Anche nel mondo dell’arte concettuale”.

Tale riflessione pone in essere un programma di intenti che dà vita a opere d’arte in cui la protagonista è la donna del presente e del passato che rivendica il riconoscimento del suo status e del suo mandato naturale, storico e culturale.

Su un largo lenzuolo di lino bianco campeggia al centro del quadrato (simbolo della terrestrità) una figura di donna dipinta di getto con un colore ferruginoso. La postura riprende quella di Leonardo da Vinci, ma non viene replicata: il viso è scontornato, le braccia e le gambe appaiono divaricate e sconfinano nel cerchio inteso come forma perfetta, l’alfa e l’omega di tutte le cose, la ciclicità temporale, la dimensione ultraterrena. La donna è raffigurata gravida e mostra una pancia rossa a forma di cuore, su cui sono cucite due bambole, una dal viso chiaro e una dal viso scuro, che si riferiscono a tutti bambini del mondo, anche a quelli stranieri presenti in Italia, nonché alle adozioni a distanza, e due grossi seni altresì rossi, gonfi di latte, che rappresentano il nutrimento fisico, mentale e spirituale che la donna sa generosamente dispensare. Alle due piccole bambole si aggiunge un Gesù Bambino anch’esso di piccole dimensioni che sta a simboleggiare l’intervento divino nella nascita di ogni essere umano. Sulla pancia figura altresì un cuore cucito, in cui sono iscritte le fotografie dei genitori di Borgna, un omaggio non solo alla loro memoria, ma anche un modo per ricordare all’osservatore che la vita è frutto dell’amore sacro tra un uomo e una donna. Il rapporto tra κόσµος (cielo, cosmo ordinato) e µικρός (terra) viene problematizzato in questa creazione artistica singolare partendo da una prospettiva femminile neo-rinascimentale e postmoderna, una maniera originale per rigenerare l’eterno femminino. L’intendimento prioritario di Borgna è quello di restituire alla donna la sua giusta posizione e il suo giusto valore tenendo conto, per un verso della sua funzione generativa e nutritiva, per l’altro del suo mandato storico-sociale e culturale. Nella Donna cucita e virtuviana Borgna si ritrova con tutti i propri punti di forza e di fragilità, enuncia il suo credo in una donna che è misura di tutte le cose, che riflette l’ordine (κόσµος) del mondo tra istanze terrene (il quadrato) e ultra-terrene (il cerchio), la quale, come scaturigine e garante della vita, sa irradiare, anche in virtù della particella divina che possiede, luce, amore, armonia, carità, senso della giustizia e della bellezza. L’artista non parla solo di se stessa e per se stessa ma anche a nome di tutte le donne che come lei hanno percorso o stanno percorrendo i sentieri spesso impervi e accidentati dell’esistenza. Borgna auspica che, secondo il principio delle pari opportunità, ci sia presto spazio sulla moneta di un euro anche per la “donna cucita e vitruviana”, donna orgogliosa del suo ruolo sociale e combattiva nella salvaguardia dei valori sacri della vita.

Perché Maria Antonietta?

   All’interno della mostra “La donna cucita e vitruviana” Borgna dedica alcune opere alla figura della regina martire Maria Antonietta, sovrana villipesa, calunniata e umiliata al massimo grado sul palcoscenico della Storia, ovvero nel contesto storico della Rivoluzione francese e nella fase preparatoria di quest’ultima. Attorno alla regina giudicata colpevole di essere vissuta nella gabbia dorata della reggia di Versailles e di aver sperperato il denaro pubblico per garantirsi un lusso smoderato e assecondare così la sua frivolezza e la sua vita dissoluta si addensò una vera e propria tempesta diffamatoria, ingiuriosa, attraverso la pubblicazione di libelli, giornali, stampe erotiche e satiriche nonché l’allestimento di teatrini ambulanti dove veniva stigmatizzata la sua lussuria e depravazione, assimilandola a una nuova Messalina, Fredegonda e Isabella di Baviera. Gli epiteti oltraggiosi non si contarono: la “Salope Royale”, “Madame Deficit”, l’odiata, immorale e intrigante ”Autrichienne”, innescando il gioco di parole “autruche” (struzzo) e “chienne” (cagna), per il fatto che, secondo le malelingue del tempo, si era circondata di una schiera selezionata di amanti concedendosi anche all’amore saffico.

Le vennero attribuite, con tutta probabilità, dal terribile avversario Hèbert, giornalista del Le Père Duchesne, frasi mai proferite come quella celebre delle brioche in riferimento alla carenza di pane necessario a sfamare il popolo francese.

L’incontro di Borgna con Maria Antonietta è avvenuto con l’acquisto di un libro a lei dedicato, facente parte di una lunga collana di testi allegati a una famosa testata giornalistica che raccontavano la vita di regine, guerriere, sante vissute in epoche diverse. Per la mostra del 7 maggio succitata Borgna ha proposto un lavoro finalizzato al riscatto morale di una regina così fortemente avversata. L’artista si domanda se fosse stata veramente colpevole o se fosse stata piuttosto “vittima degli stereotipi e continuamente  vituperata dall’immaginario misogino”.

   Nell’opera intitolata Maria Antonietta, influencer Borgna utilizza come supporto un foglio su cui è fotocopiata la testa di cera della regina appena  ghigliottinata custodita nel Museo londinese di Madame Tussaud (famosa ceroplasta sopravvissuta alla Rivoluzione) che viene da lei originalmente  vivificata con audaci ritocchi: gli occhi bellissimi, aperti, sprizzano vitalità e charme e sono sormontati da ciglia e sopracciglia ben curate; la capigliatura bionda è folta e due boccoli  fuoriescono svolazzanti; due piercing si insinuano uno nel naso e l’altro nel mento; il collo è avvolto da un collarino alto candido, a onde, screziato di azzurro, in cui è inserito un piccolo cammeo che riproduce la maternità, a lato del quale appare un fiore scarlatto (rimando esplicito al giglio di Francia insanguinato dalla Rivoluzione) su un lungo stelo che sfiora delicatamente una guancia della regina. Il trucco delle labbra è marcato da un rosso brillante e le gote sono leggermente imporporate da due piccoli cerchi speculari, una sorta di piccoli nei posticci molto in voga nel Settecento. La fronte è ornata da una fascia a rete colorata come pure la capigliatura che presenta un’impalcatura decorativa punteggiata di rosso. Il busto di Maria Antonietta prosegue, inglobando il basamento del celebre modello di cera, con un abito azzurro, uno dei suoi colori preferiti, che presenta un ampio décolleté, da cui fa capolino in modo garbato e pudico un piccolo neo rosso. Sopra i seni appena accennati figurano alcune frasi scritte con l’inchiostro dalla stessa Borgna. Si tratta della trascrizione, copiando fedelmente la grafia della regina, di un passo  (“ce 16 8bre a 4½ du matin mon dieu ayez pitié de moi! mes yeux nȯnt plus des larmes pour pleurer pour vous mes pauvres enfants; adiue, adieu! Marie Antoinette” (sic) [questo 16 8bre alle 4½ del mattino mio Dio abbiate pietà di me! I miei occhi non hanno più lacrime per piangere voi miei poveri figli; addio, addio! Maria Antonietta]) tratto dalla famosa lettera autografa di addio che la sovrana, da tempo prigioniera alla Conciergerie vergò alle quattro e mezzo del mattino del giorno della sua esecuzione capitale avvenuta il 16 ottobre 1793, indirizzandola alla cognata Madame Elisabetta, sorella di Luigi XVI anch’egli ghigliottinato nel gennaio dello stesso anno. Si tratta di un straziante congedo dalle persone care e dai suoi adorati figli Marie-Thèrèse e Luigi Carlo, ormai consapevole della sua imminente fine sul patibolo, un testamento spirituale molto toccante che rivela la nobiltà d’animo di una donna spogliata degli abiti regali che si consegna al boia come semplice cittadina, vedova Capeto e madre affettuosa. Così esordisce: “E’ a voi, mia sorella, che scrivo per l’ultima volta. Sono appena stata condannata, ma non a una morte infame, essa non è tale che per i delinquenti, ma a raggiungere vostro fratello. Innocente come lui, spero di mostrare la stessa fermezza nei miei ultimi momenti. Sono calma, come lo si è quando la coscienza non ha nulla da rimproverarsi. Sento un profondo dolore nell’abbandonare i miei poveri figli: voi sapete ch’io non esistevo che per loro e per voi,  mia buona e tenera sorella”. In un altro passo significativo della stessa lettera Maria Antonietta  cresciuta osservando il credo e il catechismo della religione cattolica si rivolge a Dio per chiedere sinceramente perdono di tutti gli errori che ha potuto commettere da quando è venuta al mondo. Salirà le scale del patibolo con fermezza, coraggio, solennità e rassegnazione cristiana dopo essere stata trasferita dalla prigione alla Place de la Rèvolution su una lurida carretta, invecchiata precocemente e malferma di salute (si ricordi al riguardo il celebre disegno di Louis David), con le mani legate indossando una tunica e una cuffia entrambe bianche, il colore del lutto previsto per le regine di Francia. A esecuzione avvenuta il corpo mozzato venne gettato  in una fossa comune nel cimitero della Madeleine di Parigi. Borgna conferisce volutamente al volto della regina martire un look postmoderno che giustifica pienamente l’appannaggio che fu proprio di Maria Antonietta nel “saper far tendenza nel ruolo di influencer” nella cerchia aristocratica e alto borghese del suo tempo. L’operazione artistica di trucco e parrucco effettuata da Borgna vuole infatti restituire all’immagine macabra della regina ghigliottinata quella seducente bellezza che si irradia anche nella postmodernità, riconoscendole il ruolo di autentica influencer. L’opera presenta sul lato sinistro in basso una penna azzurra di piccione simile a quella con cui la regina scrisse la sua lettera di congedo dal mondo; il prezioso documento oggi custodito negli Archivi Nazionali dell’Hôtel di Soubise presenta in alcuni punti macchie di inchiostro dovute alle lacrime che abbondantemente Maria Antonietta versò sul foglio.

Il legame mentale e psicologico che unisce Borgna all’infelice regina di Francia passa attraverso la figura della madre Margherita Jeanmart, soprannominata teneramente dai propri familiari “Marie Antoinette” poiché amava al pari della sovrana francese “l’originalità della moda, le rose antiche profumate, i bei quadri, tout court, la vie”. Tale collegamento si esplicita anche in un’altra creazione originale di Borgna, la Scatola della memoria di Maria Antonietta, un vero e proprio cadeau, rivestita su tutti i lati da una riproduzione cartacea di una stampa d’epoca della reggia di Versailles con i suoi favolosi giardini. All’interno si anima un teatrino caledoscopico che, avvalendosi di un collage sapiente di illustrazioni ritagliate e incollate, rievoca l’ambiente familiare, i luoghi del cuore, la condizione e lo stile di vita della sovrana prigioniera nella gabbia dorata di Versailles, la sua brama di libertà, il suo amore per i figli, cui avrebbe voluto dedicare più tempo, la sua passione per la musica (ritagli di spartiti) e il teatro. Gli abiti creati per lei dalla modista Rosa Bertin, i cui colori e tessuti erano scelti dalla stessa regina compulsando febbrilmente i campionari, le mirabolanti parrucche pouf del coiffeur Léonard, gli sfavillanti gioielli, le raffinate porcellane di Sèvres, le tappezzerie dai delicati motivi floreali attestano la raffinatezza, l’estrosità, la vena creativa e la singolarità della regina in fuga dagli obsoleti e rigidi cerimoniali di corte. Nel buen retiro del Petit Trianon o dell’Hameau (villaggio in stile rustico della Normandia) che si affaccia su un pittoresco laghetto la regina cercò infatti di ritagliarsi spazi personali per essere se stessa, per poter rimanere con i figli e affermare la sua personalità e sensibilità, indossando anche i panni di una semplice contadinella e tifando per la rappresentazione a corte della commedia borghese di tenore pre-rivoluzionario Il barbiere di Siviglia di Beaumarchais. Ciò che colpisce osservando l’opera di Borgna è che, su uno sfondo composto da nubi, campeggia la silhouette della regina coronata vestita a lutto che tiene orgogliosamente per mano il delfino, l’erede al trono, che gira le spalle all’osservatore,  incamminato con la madre sui sentieri dell’eternità, certamente per loro più radiosi di quelli terreni. I loro piedi poggiano su un terreno rossastro screziato di nero in dissolvenza (allusione al loro martirio). Su un lato della Scatola appare la riproduzione rimpicciolita dell’opera sopracitata Maria Antonietta influencer affiancata dalla foto di Borgna truccata e agghindata in modo originale, con l’intendimento da parte di quest’ultima di sottolineare il suo rapporto simpatetico sul piano emotivo, psicologico, affettivo ed estetico con la regina di Francia. Le due figure sono circondate da citazioni dalla celebre lettera d’addio scritta dall’infelice sovrana il giorno stesso della sua esecuzione capitale. Chiude la scatola un tenero bouquet di fiori di campagna che vuole essere un omaggio affettuoso al suo triste destino e alla sua memoria. Come sostenne acutamente Napoleone, lo scandalo della collana (1784-1785) aveva di fatto già condannato Maria Antonietta anzitempo. Anche l’astio che la nobiltà di corte nutriva nei suoi confronti per essersi sottratta alle regole della rigida “etichetta” contribuirono non poco a farla cadere in disgrazia. Ella non seppe però mai dimenticare l’affetto che il popolo francese le aveva dimostrato quando da giovane delfina di Francia aveva varcato i cancelli dorati della reggia di Versailles. Purtroppo il matrimonio infelice, la maternità procrastinata negli anni, la cerchia esclusiva di intimi, le ingenti spese personali, l’influenza che esercitò sul marito dal carattere debole negli affari di Stato minarono di fatto, con il passare del tempo, il suo rapporto con i sudditi. Dalla presa della Bastiglia in poi ciò che i rivoluzionari temettero di più fu l’intelligenza, la fermezza, la “testa”, il cuore della regina (Jules e Edmond Goncourt). Lo scrittore mitteleuropeo Sfefan Zweig sostenne dal canto suo che “per colpire la monarchia, la rivoluzione fu costretta ad attaccare la regina, e nella regina la donna”. In effetti l’attacco dei rivoluzionari alla fermezza, alla combattività e alla dignità di Maria Antonietta rimise purtroppo la donna in una condizione di piena sudditanza nonostante il loro credo egualitario. Osservata speciale alle Tuilleries e prigioniera al Tempio e alla Concergerie, Maria Antonietta seppe affrontare impavida la tragedia personale e dei suoi congiunti. Il Tribunale rivoluzionario che la condannò a morte, annoverò tra i capi di imputazione quello di aver avuto rapporti incestuosi con il delfino: quella calunnia fu una delle stazioni più dolorose della sua ascesa al Calvario. Durante il processo la regina si rifiutò di rispondere a quell’esecrabile accusa facendo appello a tutte le madri presenti in aula. Madame de Staël la difenderà apertamente da vera femminista ante litteram in un pamphlet scritto nel 1793 intitolato Riflessioni sul processo della regina, in cui, preannunciando il rimorso collettivo che sarebbe derivato dalla condanna della sovrana, fece appello anch’essa a tutte le madri di Francia, al loro buon cuore, per difenderla “con tutte le armi della natura”.

Maria Antonietta influencer e la Scatola di Maria Antonietta di Borgna vogliono quindi far rivivere la regina di Francia restituendole quel suo carattere di donna moderna ante litteram, divergente, innovativa e quindi di influencer, ma non solo. Ella desiderò essere anche una madre e una moglie affettuosa, vale a dire una donna normale, anche se il suo ruolo istituzionale le remò decisamente contro. Borgna propone artisticamente un riscatto, una rivalutazione tutta al femminile di Maria Antonietta, già in atto da molti anni da parte di storici, scrittori, artisti, fashion designer, registi (celebre il film di Sofia Coppola), operatori culturali e movimenti di liberazione sessuale. La regina di Francia è divenuta quindi una vera e propria icona nell’immaginario collettivo in quanto simbolo della donna forte, combattiva, alla ricerca di una propria identità e indipendenza tragicamente abusata e condannata dal tribunale della Storia che ne ha sancito l’ingiusta e crudele damnatio memoriae. Il sorriso inconfondibile, seducente, “d’incanto”, della regina, come ebbero a ricordare Madame Tussaud e Chateaubriand nelle loro Memorie, continua a spandersi, a distanza di secoli, nell’originale rivisitazione e rivivificazione artistica di Graziella Borgna che si unisce, in questa sua ricerca, alla lunga schiera di artiste di ieri e di oggi (tra le più significative Artemisia Gentileschi, Frida Kahlo, Remedios Vaso, Regina José Galindo, Panmela Castro, Marina Abramovíc, Ilaria Sagaria, Kiki Smith, Vali Export) impegnate a denunciare le violenze, gli abusi, le sottrazioni di dignità, le diffamazioni nei confronti delle donne a favore di un definitivo riconoscimento del ruolo centrale, “vitruviano” delle stesse nella vita affettiva, sociale, economica e culturale del mondo. A questo segno è doveroso citare una poesia toccante dedicate a tutte le donne da Alda Merini, spirito grande e luminoso, abitatrice del linguaggio dell’anima : “Fragile, opulenta donna, matrice del paradiso/ sei un granello di colpa/ anche agli occhi di Dio/ malgrado le tue sante guerre/ per l’emancipazione. / Spaccarono la tua bellezza/ e rimane uno scheletro d’amore/ che però grida ancora vendetta/ e soltanto tu riesci/ ancora a piangere,/ poi ti volgi e vedi ancora i tuoi figli,/ poi ti volti e non sai ancora dire/ e taci meravigliata/ e allora diventi grande come la terra/ e innalzi il tuo canto d’amore”.

La canoa cucita

   Borgna propone all’interno della mostra “La donna cucita e vitruviana” anche un’opera di grande interesse e suggestione che tratta di una delle problematiche più inquietanti dei giorni nostri: la tragedia dei rifugiati e migranti che viaggiano sui barconi della morte. Come afferma Borgna essa è stata creata come ”omaggio ai tanti morti annegati nel Mediterraneo. Uomini, donne e soprattutto bambini che hanno lasciato la loro terra d’origine per cercare un nuovo paese, per sfuggire alle guerre e sofferenze. Per le famiglie disperse”. La canoa cucita sottintende, a dire il vero, un leggero e moderno gommone, utilizzato spesso nelle cosiddette traversate della morte, in cui tanti finiscono annegati. Un felino in miniatura allude alla loro provenienza: il continente africano.

Su un grande telo l’artista cuce una stola beige di pelliccia che completava l’abito nuziale della madre punteggiata qui e là di marrone che rappresenta una canoa sconquassata dalle violente onde nere di un mare in burrasca. Ciò è dovuto allo scoppio di un violento temporale; i guizzi accecanti dei lampi si stagliano in un cielo altrettanto nero che mostra una mezza luna capovolta. La canoa investita dal fascio di luce di un faro, simbolo della salvezza, è a breve distanza dalla costa, ma le onde gigantesche la sollevano in alto, scaraventando fuori gli occupanti condannati ad annegare miseramente. Quattro mani rosse affiorano, tentando di risalire a bordo del natante, ma ahimè la tragedia è ineluttabile, la morte per annegamento una certezza. Sotto la stola-canoa sono griffate le ultime invocazioni delle vittime del naufragio: le madri chiamano in preda alla disperazione i propri figli, i mariti i loro congiunti, uno rivolge l’ultimo pensiero ad Allah. Borgna rievoca l’immane tragedia, appendendo all’estremità dell’opera, gli oggetti dei passeggeri che si inabissano con loro nelle acque profonde marine e si depositano sui fondali tappezzati di conchiglie (macchine fotografiche, fazzoletti, guanti di plastica, mascherine nere, filtri per il tè). L’osservatore è empaticamente coinvolto, rivive emotivamente i tragici eventi che ormai da anni accadono quasi ogni giorno nel Mediterraneo. La canoa della speranza,  della salvezza, si trasforma per migliaia di persone in un veicolo di morte in mano a biechi sfruttatori della loro disperazione. Il Mediterraneo è divenuto perciò da tempo una grande fossa sepolcrale acquatica, nonostante le ripetute missioni di salvataggio da parte delle guardie costiere. Nella mezzaluna capovolta presente nel dipinto si legge un chiaro rimando all’appartenenza delle vittime al credo islamico. Le macchie marroni presenti sulla canoa alludono alla precarietà dell’imbarcazione già forellata alla partenza e quindi non idonea a garantire una navigazione sicura ai suoi occupanti, i quali ciononostante sfidano la sorte. La disumanità di chi li affida alle onde spesso perigliose non fa che accrescere il numero delle vittime conferendo al fenomeno i tratti di un’autentica shoah dei giorni nostri. E’ curioso notare come la parola shoah  significhi  biblicamente “tempesta devastante” (cfr. Isaia, 47, 11) che è poi il soggetto che Borgna ha scelto per questa sua creazione artistica. La Canoa cucita è dedicata espressamente al Santo Padre Francesco che, in più occasioni, e specialmente durante la sua visita sull’isola di Lesbo, ha rivolto un appello accorato alle nazioni europee affinché “aprano il cuore ai migranti”, accogliendoli e integrandoli in nome della solidarietà tra fratelli e nel rispetto della dignità umana. Ai suoi occhi saggi e lungimiranti ogni naufragio attesta il pieno fallimento di un’intera civiltà.

Info: visite per appuntamento telefonando al 3463106020.

AUTORE: ERMINIO MORENGHI (riproduzione del testo riservata)