SI PUÒ PARLARE DI “POTENZIALE” NELL’ARTE? INTERVISTA A GIULIA WETTER

Giulia Wetter ed alcuni suoi amici durante la fruizione “Incompiuto, la nascita dello stile” di Alterazioni Video,
MAXXI, Roma, estate 2020. Credits: Marco Brugnera

MILANO. Si può parlare di “potenziale” nell’arte? In caso affermativo, in che termini? Ne discutiamo con Giulia Wetter, diplomata con lode presso l’Accademia di Belle Arti di Brera in Pittura e Arti Visive, co-fondatrice e co-curatrice del project space SpazioFico nel centro del capoluogo lombardo nel 2017. Nel 2019 si presenta nella collettiva “Teenage Wasteland”, progetto espositivo al termine di una residenza. Lavora tra il mondo della moda e dell’arte partecipando e collaborando per la creazione di contenuti editoriali e nell’art direction o styling di alcuni progetti celebrity come MYSS KETA. Condivide lo studio a Milano con altri artisti e per mantenersi ha lavorato negli ultimi anni come maschera presso il Teatro alla Scala. La ringraziamo per la disponibilità.

In che senso si può parlare di potenziale nell’arte?

Soprattutto quest’anno mi sono resa conto di quanto sia sempre più difficile dare delle risposte, della facilità con la quale, invece, le domande persistano e di quanto in tutto questo discorso io mi stia affidando all’intuizione. Da qui ho capito che forse il territorio stesso dell’arte sia quello dell’intuizione, quello della lettura e della consapevolezza del potenziale dell’immagine e, di conseguenza, della sua sopravvalutazione.

I lavori che reputo essere più interessanti e più belli penso che siano quelli in cui allo spettatore viene regalato uno scenario dalle molteplici letture possibili: è in questi scenari, paesaggi che il fruitore ha la possibilità di sopravvalutare. Questi scenari sono costruiti da una serie di elementi e dettagli, ogni elemento è veicolo di espressione e condivide una parte della visione totale.

E’ il caso della produzione artistica di artisti come Pierre Huyghe o di lavori come Riverbed di Eliasson… o la filmografia di Sorrentino e Malick. E’ impossibile parlare di responsabilità riferendosi a lavori nei quali è l’artista stesso a non sapere cosa avverrà nella propria opera. L’intensità e la molteplicità di elementi genera narrazioni e un potenziale di lettura infiniti. L’immagine resta ineffabile, mai satura di significato, infinitamente bella e potenziale.

Come un paesaggio: ogni volta che lo guardi ti soffermi su un particolare diverso e ne trai conclusioni differenti. Come artista penso che il mio lavoro sia di generare oggetti desiderabili in quanto oggetti potenziali.

In quale modo hai utilizzato i dialoghi per sviluppare l’argomento della tua tesi?

Quando ci si arena in una forma di conoscenza la si addomestica, la si ripulisce, mentre la conoscenza deve restare a uno stato grezzo, ma per restarci deve essere nutrita da un dialogo ininterrotto. I dialoghi dove le differenze sono maggiori finiscono per essere i più produttivi, è quasi cibernetica, attraversando diverse forme di esperienza si condiziona il pensiero, si esplorano scenari differenti, si sbloccano nuovi livelli, all’infinito. Significa pensare in termini di catena, di sceneggiature, un collage di sequenze distribuite su un orizzonte piatto.

Per il testo di tesi inizialmente avevo pensato di coinvolgere altri artisti in forma di interviste ma ho poi realizzato che potesse essere più interessante presentare una parte della mia quotidianità e non allontanarmi troppo da quello che accade in ogni momento in studio o al bar fuori dall’Accademia. Da tempo ho l’abitudine di registrare le conversazioni con i miei amici o colleghi, mi sono formata in una classe di dibattito in Accademia quindi siamo tutti particolarmente propensi al confronto constante.

“Teenage Wasteland” copertina di presentazione della fanzine presentata in occasione dell’omonima
mostra collettiva nel 2019, SpazioFico, Milano. Credits: Michele Jean

Che rapporto c’è, secondo te, fra potenziale dell’arte e visione dell’arte?

Se intendo il termine visione come lo scenario e la complessità di elementi e contenuti che l’opera in sé presenta, penso che il potenziale sia caratteristica propria della visione. Un buon lavoro é un lavoro che presenta una moltitudine di scenari e livelli di complessità, pertanto genera un potenziale di lettura infinito quindi il potenziale é direttamente subordinato della visione.

I nuovi media possono essere considerati una potenziale fonte infinita per gli artisti?

L’arte è l’oggettivazione fisica di uno spazio mentale, questa è la definizione più precisa a cui sono riuscita ad arrivare. Oggi, nell’era della post produzione, abbiamo in effetti tutta la realtà a nostra disposizione per fare arte e per questo ne si fa un discorso di scelte e responsabilità. E’un linguaggio, nella sua resa formale ci regala spazio per infinite interpretazioni, è il medium ad essere strumento subordinato del contenuto, di quello che vuoi dire, un mezzo appunto. In un’opera ogni elemento, persino il titolo, è veicolo di espressione e condivide una parte della visione totale, un medium che insieme a tutti gli altri contribuisce alla lettura del lavoro, come una pennellata tra le altre.

In questo senso sì, possiamo dire che i nuovi media possono essere considerati fonte infinita per gli artisti in quanto in realtà i medium sono infiniti, è un discorso di scelte, responsabilità, consapevolezza e attitudine: è un discorso di volontà.

“The Flag”, Giulia Wetter, foulard in seta 90×90 cm ultimo pezzo della collezione G.COLLECTION presentato come progetto tesi in occasione della laurea di Giulia Wetter, Marzo 2021, Milano. Credits: Archivio G. Wetter

Secondo te esiste un compito dell’artista contemporaneo?

Purtroppo c’è un grosso gap di consapevolezza causato anche dall’arte stessa, non è più fruita direttamente da tutti, rimane elitaria. L’arte sta andando troppo veloce con il rischio di rimanere fine a se stessa o solo per gli “addetti ai lavori”, i “puristi”, come direbbe Virgil Abloh.

Dalle prime avanguardie storiche ad oggi il panorama artistico ne ha viste così tante da non avere avuto ancora il tempo per storicizzare, processare. Del resto parliamo di un secolo veloce sotto ogni punto di vista. Le famiglie finiscono per andare in Pinacoteca e continuare a dirsi quanto fosse bella la pittura di una volta, vanno a Parigi e visitano il Louvre. Dall’altro lato l’arte non sta facendo molto per andare incontro al pubblico. In Biennale ci vanno solo “puristi”. Basterebbe che il pubblico non fosse influenzato dal preconcetto di arte che ha, dall’idea che si è fatto o con cui è stato educato, ma che si approcciasse a un lavoro con la stessa attitudine e curiosità con cui si avvicina a un panorama, una paesaggio, un libro… L’arte non è che l’oggettivazione di uno spazio mentale, un linguaggio, un medium, nella sua resa formale ci regala spazio per infinite interpretazioni e potenziali, perché fermarsi a comodamente dire, “Ah, io l’arte contemporanea non la capisco”? Ma nessuno la capisce, non è un discorso di risposte ma di sensibilità.

Questa secondo me è la grande costruzione che spetta alla nostra generazione di artisti, portare il discorso su un altro livello, riformulare il linguaggio, ricostruire l’analisi logica e grammaticale del “periodo” artistico, aiutando e spiegando come leggerlo tramite il lavoro stesso: è un problema di fruizione.

NOTE.

1 Giulia Wetter ed alcuni suoi amici durante la fruizione “Incompiuto, la nascita dello stile” di Alterazioni Video, MAXXI, Roma, estate 2020. Credits: Marco Brugnera

2 “Teenage Wasteland” copertina di presentazione della fanzine presentata in occasione dell’omonima mostra collettiva nel 2019, SpazioFico, Milano. Credits: Michele Jean

3 “The Flag”, Giulia Wetter, foulard in seta 90×90 cm ultimo pezzo della collezione G.COLLECTION presentato come progetto tesi in occasione della laurea, Marzo 2021, Milano. Credits: Archivio Giulia Wetter